Carla T. Fit. + pesistica, Author at warmfit - Page 5 of 10
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Jul
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Carla T. Fit. + pesistica
disidratazione nei bambini
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Disidratazione nei bambini

• Sintomi di disidratazione nei bambini

• Cosa fare?

Il termine disidratazione indica un eccessivo impoverimento dell’acqua corporea, che in condizioni normali costituisce circa l’80% in peso del bambino. Le possibili cause d’origine sono piuttosto numerose, spesso accumunate dal rialzo febbrile, dal vomito, dalla diarrea e/o dalla temporanea impossibilità di bere.

Disidratazione bambinoMolto rara al di sotto dei tre mesi di età, la gastroenterite acuta è la più comune causa di disidratazione severa nel bambino. Si tratta di una violenta infiammazione delle pareti interne dello stomaco e dell’intestino, caratterizzata da una componente diarroica e perlopiù sostenuta da infezioni virali (rotavirus, Norwalk virus e adenovirus). Nelle fasi iniziali può essere presente anche vomito.

Tra le altre cause di disidratazione ritroviamo gastroenteriti batteriche (Salmonella, Escherichia coli, Campylobacter,Clostridium difficile), diabete di tipo I, fibrosi cistica e sindromi da malassorbimento.

Sintomi di disidratazione nei bambini

L’esame obiettivo è molto importante per riconoscere il grado di disidratazione del bambino, che rispetto all’adulto risulta maggiormente esposto ad importanti perdite idriche. L’ideale sarebbe calcolare tale deficit confrontando il peso abituale del bimbo con quello misurato al sospetto di disidratazione.

Nelle forma lievi, la disidratazione è pari al 3%-5% (differenza tra i due pesi) ed il bimbo ha essenzialmente un quadro normale.

Nella disidratazione moderata, la perdita di acqua è del 6-9%; il paziente diviene sofferente, irritato (piange di più anche se le lacrime sono scarse), con tachicardia, cute fredda, secchezza delle labbra e delle mucose, occhi alonati, cute secca ed anaelastica, fontanella infossata (nel lattante), riduzione della lacrimazione e dell’output urinario.

Questi sintomi meritano di essere prontamente sottoposti all’attenzione del pediatra.

La forma severa si sviluppa con una disidratazione superiore al 10%; ai sintomi sopraccitati si associano letargia (attività rallentate, sonno, difficoltà di risveglio), tachicardia e tachipnea marcate, allungamento del riempimento capillare*, scarso turgore della cute e scarsa emissione di urina (secchezza del pannolino).

Questi sintomi meritano un pronto accesso al pronto soccorso, laddove, praticati pochi ma necessari esami di laboratorio, sarà effettuata una valutazione delle condizioni dell’equilibrio idrosalino del piccolo (che andrà monitorata nel tempo) ed una corretta ed adeguata correzione delle perdite di acqua e di sali a mezzo di infusioni per via parenterale.

* Facendo pressione sul palmo della mano o sul polpastrello del paziente, il sangue viene “spremuto” via dai tessuti sottostanti. Rilasciando la pressione, la cute appare più chiara, ma il sangue torna a perfondere i tessuti, ripristinando il colore originale. Il tempo di riempimento capillare è appunto il tempo in cui ritorna il normale colore della cute: se maggiore di 2 secondi, il test è definito positivo.

Cosa fare?

Stimata la severità della disidratazione, il passo successivo consiste nel calcolare quanti liquidi somministrare al paziente. Questa operazione è facilmente eseguibile ricordando che un litro di fluidi pesa un chilo; pertanto, un bimbo di 20 chili con una disidratazione del 5% ha perso un chilo di peso corporeo (0.05 x 20 kg = 1 kg); quindi, ha un deficit di fluidi pari a un litro.

Nella disidratazione lieve e moderata la terapia idratante orale è il metodo di prima scelta; si basa sulla somministrazione di apposite bevande iposmolari, acquistabili in farmacia, come il Pedialyte o l’Infalytr. Per bambini di età superiore ai due anni si possono utilizzare anche bevande reidratanti per sportivi. Le linee guida consigliano di iniziare la terapia somministrando per os 5 ml di soluzione reidratante ogni cinque minuti, aumentandola gradualmente a seconda della tollerabilità. Più in generale, quindi, è importante somministrare piccole quantità di liquidi ad intervalli molto frequenti. Per nessun motivo utilizzare bibite gassate e succhi di frutta, che – essendo soluzioni ricche di zucchero, quindi iperosmolari – peggiorerebbero la diarrea e la disidratazione. La semplice acqua, dall’altra parte, normalmente non contiene abbastanza sali minerali e può provocare squilibri elettrolitici, con rischio di convulsioni. Se non si hanno a disposizione bevande reidratanti, l’ideale è prepararle in autonomia, sciogliendo in un litro di acqua quattro cucchiaini di zucchero, mezzo cucchiaino di sale, mezzo cucchiaino di cloruro di potassio e mezzo cucchiaino di bicarbonato di sodio.

La normale alimentazione andrà ripresa appena il bimbo sarà in grado di tollerarla.

A livello ospedaliero, quando il bambino si presenta con disidratazione severa, o nel caso in cui non sia possibile reidratare per via orale a causa del vomito persistente, si ricorre alla terapia endovenosa (infusa con boli di 20 ml/kg fino a risoluzione dello shock). Il vomito, di per sé, non rappresenta una controindicazione alla reidratazione orale e può essere risolto attraverso l’impiego di antiemetici (ovviamente secondo quanto consigliato dal pediatra).

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Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/salute/disidratazione-bambini.html

Jul
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Carla T. Fit. + pesistica
Fitness: Considerazioni sulla bocca secca
Alimentazione - Official Group
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Fitness: Considerazioni sulla bocca secca     Avere la bocca secca di tanto in tanto è un fenomeno del tutto normale, spesso frutto di una leggera disidratazione causata dal troppo sudore, dallo scarso apporto di liquidi o dall’eccessiva ingestione di alcolici o alimenti salati. Ricordiamo che in condizioni normali le ghiandole salivari producono e secercono circa un litro – un litro e mezzo di saliva al giorno.

Fitness: Considerazioni sulla bocca secca

Fitness: Considerazioni sulla bocca secca

 

Cause di Bocca Secca

Per descrivere quello che il paziente riferisce con l’espressione “bocca secca” i medici utilizzano il termine xerostomia, un disturbo che può alterare il normale sapore dei cibi, rendere difficile la fonazione e predisporre alla carie dentale. La saliva, infatti, è in grado di tamponare l’acidità della bocca e contiene alcune sostanze ad azione antimicrobica. La bocca secca può inoltre rendere difficoltosa la deglutizione, mentre i processi digestivi non subiscono particolari conseguenze negative (il mancato intervento dell’amilasi salivare è ampiamente compensato da quella pancreatica). Oltre alla secchezza delle mucose orali, il paziente può lamentare mal di gola, labbra screpolate, sete continua, difficoltà a parlare, alitosi, malattie gengivali ed infezioni fungine della bocca (vedi candidosi orale o mughetto).

Oltre a quelle alimentari, la bocca secca può avere origini iatrogene, legate cioè all’assunzione di determinati medicinali. La lista dei farmaci incriminati è piuttosto lunga ed include in particolare i prodotti farmaceutici utilizzati per il trattamento della depressione, dell’ansietà , del morbo di Parkinson, dell’obesità (sibutramina, fendimetrazina, derivati amfetaminici), dell’incontinenza urinaria e del cancro (chemioterapia), ma anche narcotici, antistaminici – decongestionanti, antipertensivi (diuretici), antidiarroici e miorilassanti.

Il tabacco (fumato o masticato), l’esercizio fisico eseguito respirando con la bocca ed il parlare o il cantare troppo a lungo, possono aggravare la sensazione di bocca secca. In altri, casi l’inaridimento può essere determinato dall’abuso di stupefacenti, come marijuana, cocaina, efedrina e amfetamine, o di alcol (che ha un effetto disidratante sull’organismo). Un’ostruzione nasale (deviazioni del setto, riniti allergiche, poliposi nasale ecc.), che costringa il paziente a respirare con la bocca, può renderla riarsa al pari delle condizioni sopraelencate.

Tra le malattie responsabili di secchezza delle fauci spicca la sindrome di Sjogrens, seguita dal comune diabete e da quello insipido, dal morbo di Parkinson, dagli orecchioni (parotite), dalla fibrosi cistica e da disturbi psicologici (depressione ed ansietà); la sensazione di bocca secca può essere percepita anche da pazienti affetti dal morbo di Parkinson o che hanno subìto un infarto. Quando la bocca secca si accompagna a sudorazione eccessiva e spiccata magrezza può essere spia di una malattia della tiroide chiamata ipertiroidismo. La bocca secca può essere causata anche dalla lesione delle ghiandole salivari, ad esempio per un trauma alla testa, per un intervento chirurgico o per radioterapia localizzata al collo e al capo (in tal caso la lesione può essere irreversibile).

Diagnosi

Per la diagnosi di xerostomia il medico o il dentista esaminano con cura la storia clinica del paziente ed i sintomi che lamenta; un’attenta ispezione della cavità orale e la palpazione del collo e delle guance – eventualmente associata ad esami ematici o a tecniche di imaging (diagnostica per immagini) – potranno eventualmente aiutarlo ad identificare le origini del problema. A livello casalingo la bocca secca può essere “diagnosticata” ingerendo dei cracker o del riso secco: se si hanno difficoltà a masticare o a deglutire il test viene considerato “positivo”.

Trattamento

Il trattamento della xerostomia viene personalizzato in relazione alle cause di origine. Per esempio, il medico può decidere di sospendere determinati medicinali e sostituirli con altri. Risciacqui orali con appositi collutori, applicazione di umettanti artificiali in spray (Xerotin, Secriva), capaci di mimare l’effetto della saliva (utili soprattutto prima dei pasti) e l’adozione di altre misure palliative ritenute secretivo-stimolanti (chewingum o confetti, rigorosamente senza zucchero), rappresentano una strategia di intervento generalizzata. Il paziente, dal canto suo, deve mantenere un’adeguata igiene orale e correggere eventuali abitudini cosiddette viziate, abolendo il fumo, cercando di respirare con il naso anziché con la bocca, aumentando l’apporto di liquidi e umidificando gli ambienti in cui soggiorna. Quando le ghiandole salivari sono sane, il trattamento della bocca secca può avvalersi di appositi farmaci scialagoghi, come l’anetoltritione (Sulfarlem) e la pilocarpina (Salagen), che aumentano il flusso della saliva.

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Carla T. Fit. + pesistica
Quanti capelli abbiamo?
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Capelli

Quanti capelli abbiamo?

Il numero di capelli presenti sulla testa varia notevolmente da persona a persona, influenzato – com’è – da numerosi fattori, quali età, sesso, genetica e stato di salute. Si stima che mediamente vi siano circa 100.000 capelli sulla testa di ogni individuo (circa 140.000 nei biondi, 100.000 nei bruni e 80.000 nei rossi), di cui il 90% circa si trova in una fase di crescita. Quanti capelli?Durante tale periodo il capello si allunga mediamente di 1-1,5 cm al mese. Dati alla mano, quindi, possiamo sbizzarrirci in un curioso calcolo matematico: ogni anno i follicoli capilliferi di una persona producono, complessivamente, qualcosa come 15 chilometri di capelli.

Nel ciclo vitale di un capello la fase di crescita (anagen) dura normalmente da 2 a 6 anni, seguita da un periodo di transizione (catagen) in cui il capello cessa di crescere ed il follicolo risale verso la superficie cutanea. Tale fase, della durata di 3-4 settimane, precede un ultimo periodo di riposo (telogen) di circa tre mesi, al termine del quale il follicolo si riattiva producendo un nuovo capello che provoca la caduta di quello vecchio.

Con il progredire dell’età la durata della fase anagen si riduce; di conseguenza la crescita del capello rallenta. Sulla scia dell’estesa incidenza dell’alopecia androgenetica – che colpisce nel corso della vita circa l’80% degli uomini ed il 50% delle donne – i follicoli in fase telogen diventano, in proporzione, più numerosi. Nello stadio finale di questo processo il capello diventa molto simile a quello del neonato: corto, sottile, quasi trasparente. I capelli, quindi, non cadono, ma diventano talmente sottili e corti da risultare impercettibili. L’alopecia androgenetica, inoltre, diminuisce notevolmente il numero di capelli terminali nell’area frontale ed in quella del vertice, mentre risparmia i follicoli presenti nella regione delle tempie e della nuca, conferendo alla testa il classico aspetto “a corona”.

Jul
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Carla T. Fit. + pesistica
dieta e salmone
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Dieta e Salmone

• Generalità sul Salmone come Pesce e come Alimento

• Salmone come Alimento: Come si Mangia?

• Qualità e Controversie del Salmone nella Dieta

• Ruolo del Salmone nella Dieta

Generalità sul Salmone come Pesce e come Alimento

Il salmone è un pesce tipico di alcune zone subartiche ed artiche. Il suo allevamento, però, può svolgersi anche in aree più meridionali, sebbene NON sia certo un animale caratteristico del centro-sud Europa.

Salmone nella DietaIl pesce colonizza acque salate, dolci e salmastre, e compie alcune migrazioni (2-3) dal mare ai fiumi per potersi riprodurre.
Il salmone, inteso come alimento, appartiene al 1° Gruppo Fondamentale degli Alimenti. Sotto il profilo nutrizionale, il suo consumo è finalizzato al raggiungimento delle razioni raccomandate di: proteine, sali minerali, alcune vitamine del gruppo B, vitamina D, vitamina A e acidi grassi essenziali.
Nella dieta, il salmone potrebbe essere consumato con una frequenza “settimanale”. Una porzione da 150-250g, al massimo ogni 2-3 giorni, è infatti sufficiente ad appagare i criteri basilari di una sana e corretta alimentazione. A tal proposito, è doveroso specificare che è sempre opportuno mantenere una certa variabilità della dieta; meglio, quindi, evitare di consumare solo salmone escludendo gli altri prodotti della pesca, poiché anch’esso (come ogni altro alimento) presenta degli aspetti non del tutto positivi o controversi.
Va poi aggiunto che il salmone è un alimento molto ricco di grassi; pertanto, si raccomanda di valutarne accuratamente le porzioni (che devono essere rapportate al fabbisogno individuale) e di evitare, specie in caso di sovrappeso, la sua contestualizzazione all’interno di ricette ricche di grassi da condimento (olio, panna ecc.).

Salmone come Alimento: Come si Mangia?

Il salmone è un alimento che si presta a vari tipi di consumo.

Allo “stato fresco” le sue carni sono delicate e gradevoli (dove per “fresco” si intende “NON lavorato” con metodi di conservazione diversi dal congelamento); non mancano poi altri prodotti ricavati mediante sistemi alternativi, tra questi, il più caratteristico è l’affumicatura (accompagnata ad una leggera salatura), ma oggi è abbastanza diffusa anche la conservazione del salmone in scatola per mezzo di un liquido di governo (salamoia). Meno consumato (e meno pregiato) è invece il salmone sotto forma di paté.
Ciò che molti ignorano è che del salmone NON si consumano solo il muscolo e l’adipe, ovvero ciò che viene comunemente inteso come “carne”. Le sue uova, soprattutto in certe località, sono considerate una vera e propria leccornia. Attenzione però! Chi si aspetta un gusto più o meno “anonimo”, simile a quello delle uova di lompo o di pesce volante, o chi è abituato al sapore delicato del caviale russo, potrebbe rimanere spiacevolmente deluso; le uova di salmone si distinguono infatti per un sentore a dir poco “esplosivo” di omega 3, talmente intenso da sovrastare qualsiasi altro ingrediente nel piatto. Anche certe frattaglie del salmone paiono commestibili e tutto sommato gradevoli al gusto; il fegato è certamente quella più conosciuta. Come il suddetto organo del merluzzo, della verdesca e di altri pesci dei mari freddi, anche il fegato di salmone è ricchissimo di omega 3 e, assieme ad altre parti di “scarto” nel commercio delle relative carni, è spesso utilizzato per la formulazione di integratori alimentari. Di per sé, il fegato di salmone rappresenta un prodotto abbastanza semplice da cucinare ma, trattandosi di un organo notevolmente esposto a certi contaminanti, se destinato all’alimentazione umana, dovrebbe essere ricavato da animali controllati, ignorando invece le creature allevate senza il rispetto dei disciplinari.
Tornando alla carne del salmone, citiamo brevemente le ricette più diffuse nel nostro paese che, per dirla tutta, non vanta una vera e propria tradizione culinaria specifica di questo alimento. Il salmone fresco (anche decongelato), soprattutto negli ultimi anni, è spesso accorpato nelle ricette di pesce crudo. Da solo o all’interno di misticanze più o meno esotiche, rappresenta un ingrediente ormai fondamentale del sushi giapponese (sashimi, nigiri, oshizushi, futomaki ecc.), nel quale è possibile accostarlo anche ad alimenti che ne contengono le uova (ikura). Sempre cruda, la carne di salmone si presta alla produzione di carpaccio o tartare da pesce fresco, affumicato o marinato. Per quel che concerne i sistemi di cottura, invece, sono più diffusi il vapore e la cottura al forno, con o senza l’impiego della crosta di sale.
Di affumicatura ne esistono due generi differenti, una industriale (forse anche di tipo chimico, come per certi salumi), che prevede anche una prima salatura e un successivo sottovuoto, e un’altra casalinga. Quest’ultima (guarda la videoricetta) può essere svolta anche all’interno del forno di casa; prevede una leggera salatura iniziale ed è svolta “a freddo” (con il forno spento, nel quale si inserisce della legna fumante), motivo per cui non prolunga di molto la conservabilità dell’alimento. D’altro canto, permette di personalizzare il gusto in base al tipo di legna utilizzato.
Per ciò che riguarda la marinatura, esistono parecchie ricette differenti. Alcune si basano sulla disidratazione del salmone per salatura (con un po’ di zucchero) e la successiva reidratazione in sospensioni aromatizzate (acqua, succo di agrumi, erbe, olio ecc.); altre sfruttano direttamente liquidi aromatizzati dal potere osmotico molto superiore a quello della carne (in genere con percentuali di zucchero e sale parecchio elevate), al fine di “rassodare” i tessuti mentre li si aromatizza.
Ad ogni modo (poiché si tratta di un alimento da consumare crudo) ricordiamo che prima dell’affumicatura o della marinatura è sempre necessario applicare l’abbattimento di temperatura per scongiurare qualsiasi rischio di parassitosi.
Se la carne fresca, affumicata o marinata di salmone lascia spazio alla fantasia culinaria, non c’è molto da specificare per quel che riguarda il salmone in barattolo e quello in paté. Quest’ultimo è spesso impiegato nella formulazione di tartine, snack, antipasti e panini, mentre quello in barattolo sposa egregiamente la pasta asciutta come ripieno dei tortelli o come sugo di accompagnamento.

Qualità e Controversie del Salmone nella Dieta

Soffermiamoci ora sulla qualità della materia prima reperibile sul mercato. Di salmone ne esistono varie Specie, ma in Italia (e anche nel resto d’Europa) si consuma prevalentemente il Salmone dell’Atlantico (nomenclatura binomiale: Salmo salar).

La maggior parte del salmone presente sui banchi nazionali proviene da acquacolture estere e giunge in Italia sotto forma di congelato, per essere decongelato solo prima della vendita al dettaglio. Non esiste quindi alcuna motivazione valida per acquistarlo “al mercato” piuttosto che in un banco freezer (dove, peraltro, costerebbe anche meno). L’unico dettaglio che fa VERAMENTE la differenza tra “salmone e salmone” riguarda la provenienza, intesa come pesce allevato o pesce pescato. Evidenziando il fatto che le acquacolture NON sono tutte uguali (certe si distinguono per l’alta qualità dei mangimi e la bassa densità di popolazione), è doveroso rammentare che il salmone pescato (anzi detto “selvaggio”) risulta qualitativamente migliore dell’altro. Al giorno d’oggi, la composizione dei mangimi può essere variata sulla base del prodotto che si vuole ottenere, gestendo anche la concentrazione nutrizionale e dei pigmenti responsabili della colorazione del salmone; quest’ultima caratteristica può essere esaltata anche limitando la presenza di crostacei, invece naturalmente presenti nella dieta dei salmoni allo stato brado (ricchissimi, per l’appunto, di queste molecole). In pratica, la carne di questi pesci potrebbe essere “colorata” integrando il mangime con pro vitamine del tipo A, un po’ come avviene per la trota salmonata. Si ricorda che quest’ultima NON è una Specie ibrida, bensì una trota iridea con carni rosate ottenute alimentando il pesce con farine particolarmente ricche di carotenoidi.
Purtroppo, la pesca del salmone selvaggio NON risulta sufficiente ad ottemperare alla domanda di mercato, ragion per cui l’allevamento si rende del tutto necessario; ciò nonostante, anche questo accorgimento non preserva l’ambiente dal danno ecologico inflitto dalla super-richiesta di salmone. Gli allevamenti ittici, infatti, richiedono anche la presenza di piccoli pesci e crostacei che vengono dunque pescati, attività che indebolisce piuttosto significativamente le fondamenta della catena alimentare marina.

Ruolo del Salmone nella Dieta

Il salmone fresco è un prodotto che compare spesso nelle diete, indipendentemente che si tratti o meno di terapie nutrizionali. Come vedremo nel prosieguo, non è però adattabile a qualsiasi regime alimentare; infatti, a causa dell’elevato potere calorico, potrebbe risultare controindicato nella dieta di soggetti sedentari in sovrappeso. La sua applicazione dietetica più interessante riguarda invece la dieta contro le malattie del metabolismo (prevalentemente dislipidemie ed ipertensione). Quest’ultima applicazione è dovuta al particolare valore nutritivo del salmone, che si distingue per la ricchezza in acidi grassi essenziali del gruppo omega 3 (in particolare EPA e DHA) ed astaxantina (carotenoide). Com’è ormai ben noto, le molecole lipofile del gruppo omega 3 non possono essere prodotte in maniera autonoma dall’organismo, pertanto devono essere necessariamente introdotte con l’alimentazione. Il loro effetto metabolico (oltre a quello energetico) è bivalente: si tratta di precursori di alcuni eicosanoidi “buoni” e costituenti di membrana cellulare; inoltre, pare che la loro presenza abbassi il colesterolo, migliori il rapporto LDL/HDL, abbassi l’ipertrigliceridemia, riduca l’ipertensione, combatta l’infiammazione sistemica, prevenga l’insorgenza di trombi a vantaggio del rischio cardio-vascolare e riduca le complicanze legate al diabete mellito tipo 2. L’astaxantina, invece, è una pro vitamina A dall’effetto antiossidante e colorante; si tratta della molecola responsabile della colorazione rosa delle carni di salmone, che svolge un ruolo metabolico di protezione dai radicali liberi e una funzione cutanea benefica verso le ustioni solari.
E’ curioso apprendere che tra i vari integratori di omega 3 è presente anche il cosiddetto olio di salmone (per uomini ed animali). Oltre alle ben note catene di acidi grassi essenziali, quest’olio arancione (commercializzato in perle di collagene) viene promosso in virtù della presenza di astaxantina antiossidante e di fosfolipidi (verosimilmente ricavati dal tessuto nervoso del pesce). Il metodo di estrazione dell’olio di salmone è poco noto al pubblico, ma non è da escludere che implichi il riciclo di certi scarti ottenuti dalla messa in commercio della carne.
D’altro canto, va rammentato che il salmone rientra nella categoria dei pesci grassi, pertanto costituisce un alimento ad alto potere calorico. Ciò significa che un eventuale abuso alimentare, costante e significativo (magari associato ad altre condotte “discutibili”), potrebbe favorire l’insorgenza di sovrappeso. Non dimentichiamo che tra le varie cause di insorgenza per le malattie del metabolismo di cui abbiamo fatto cenno sopra (in riferimento agli effetti positivi degli omega 3), oltre alla predisposizione individuale, alla sedentarietà e all’alimentazione sbilanciata, figura anche il sovrappeso stesso. Alla luce di quanto detto finora, non è certo difficile comprendere per quale motivo il salmone compaia raramente nelle diete contro l’obesità. Ad essere precisi, questo alimento potrebbe essere contestualizzato in maniera più o meno efficace anche in tali schemi nutrizionali, avendo però l’accortezza di ridurre l’olio da condimento complessivo; tuttavia, rispettando il criterio “dell’applicabilità” delle porzioni (ovvero, grammature quantomeno sufficienti a conferire il senso di sazietà), inserire il salmone nella dieta di un soggetto sedentario diventerebbe alquanto complicato e non sempre giustificabile.
Non dimentichiamo inoltre che il salmone è un alimento ricco di proteine ad Alto Valore Biologico, ovvero con un pool di amminoacidi essenziali piuttosto buono e in notevoli quantità; questo aspetto è particolarmente gradito dagli sportivi e dai culturisti.
Per quanto riguarda i sali minerali, la carne di salmone è discretamente ricca di ferro, potassio e fosforo, mentre per quel che concerne le vitamine, sono abbondanti la pro vitamina A (Astaxantina), la vitamina D (Colecalciferolo), la vitamina PP (Niacina) e la vitamina B1 (Tiamina).
Per i soggetti privi di complicazioni, il salmone è sempre ben pertinente nella dieta e in qualunque forma, mentre per le donne gravide è necessario che venga cotto per scongiurare ulteriormente il rischio di contaminazioni microbiologiche.

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Jul
21
Carla T. Fit. + pesistica
Alimentazione: Il Mito della dieta dello yogurt
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Alimentazione: Il Mito della dieta dello yogurt    Dieta dello Yogurt: Perché è pessima?

Dieta dello Yogurt: di Cosa si Tratta?

Alimentazione: Il Mito della dieta dello yogurt

Si tratta dell’ennesimo tentativo di standardizzare un regime alimentare dimagrante, che possa far presa su un pubblico di persone poco preparate sull’argomento e verosimilmente insoddisfatte dalla propria immagine corporea.

Alimentazione: Il Mito della dieta dello yogurt

La dieta dello yogurt, come molte altre “diete usa e getta”, è una strategia nutrizionale che gravita intorno alla composizione chimica di un singolo prodotto e che consente l’utilizzo di pochi altri alimenti (quel tanto che basta per schivare gli effetti collaterali più significativi).
Gli obbiettivi di questo regime alimentare sono esclusivamente di tipo estetico; chi la suggerisce descrive: un miglioramento dell’aspetto cutaneo, una riduzione del gonfiore addominale, un rapido dimagrimento e l’aumento della regolarità intestinale.
Lo squilibrio nutrizionale della dieta dello yogurt è ben evidente e verrà descritto con maggior accuratezza nell’ultimo capitolo. Per il momento, cerchiamo di capire qual è il vero ruolo dello yogurt nell’alimentazione umana.

Yogurt nella Dieta… Tutta un’Altra Faccenda!

 

E’ davvero un peccato che la “reputazione” di un alimento ricco, gustoso e utile come lo yogurt venga compromessa per motivi così futili.
Praticando la dieta dello yogurt ci si rende conto fin dai primissimi giorni dell’impraticabilità e della monotonia che la caratterizzano. Questo va a discapito delle abitudini nutrizionali dei mal capitati che, il più delle volte, dopo aver trangugiato dai 3 ai 7,5kg di yogurt in una settimana, lo cancellano dalla propria dieta anche per lunghi periodi.
Al contrario, lo yogurt è un alimento estremamente utile nell’alimentazione dell’essere umano, giovane, adulto o anziano che sia. Per le persone blandamente intolleranti, lo yogurt rimpiazza il latte animale grazie al suo minor contenuto di lattosio; ovviamente, ciò non può avvenire per chi manifesta sintomi tossici gastro-intestinali più importanti e fastidiosi.
Detto questo, molti lettori si chiederanno: Qual è la funzione nutrizionale dello yogurt? La risposta è articolata, poiché diversi sono gli aspetti positivi del GIUSTO consumo di yogurt; vediamoli uno per volta:

Proteine

1.Lo yogurt è una fonte eccellente di proteine ad alto valore biologico (caseine e proteine del siero). Questo parametro misura il contenuto di amminoacidi essenziali, così definiti perché l’organismo non è in grado di sintetizzarli autonomamente in quantità sufficienti.

calcio e fosforo

2.Lo yogurt è una fonte eccellente di calcio e fosforo. Come tutti i derivati del latte, contiene ottime concentrazioni di questi sali coinvolti nella mineralizzazione ossea. Ciò significa che la funzione dietetica dello yogurt acquisisce maggior importanza in fase di sviluppo scheletrico (prevenzione dell’osteoporosi) e in seguito alla menopausa (eventuale rallentamento del processo osteoporotico).

Vitamine

3.Lo yogurt è una fonte eccellente di vit. B2 o riboflavina. Questa vitamina idrosolubile, anche detta lattoflavina, è il precursore essenziale di due coenzimi (FMN e FAD) necessari a varie reazioni cellulari.
Non mancano anche buone concentrazioni di retinolo o vit. A (liposolubile), coinvolta nel differenziamento cellulare e nel mantenimento della funzione visiva e del sistema immunitario

nelle diete a regime

4.Lo yogurt, pur essendo un alimento che apporta buone dosi colesterolo e che possiede una prevalenza di acidi grassi saturi, viene prodotto anche da latte parzialmente scremato o scremato. Ciò migliora sensibilmente la sua pertinenza dietetica in quanto: non incide sul potenziale aterogeno complessivo e contribuisce a moderare l’apporto energetico totale della dieta (aspetto da non sottovalutare nei regimi calorici per la cura dell’obesità).

fermenti lattici vivi

5.Lo yogurt è un alimento “vivo”, in quanto fermentato da ceppi batterici chiamati volgarmente “lattobacilli”. Questi microorganismi, oltre a ridurre il contenuto in lattosio con produzione di acido lattico, favoriscono una sorta di pre-digestione (idrolisi) delle proteine; entrambe queste caratteristiche (ancor più nei prodotti scremati) favoriscono sensibilmente il coefficiente di digeribilità. Inoltre, pare che questo genere di batteri sia responsabile del miglioramento compositivo della flora batterica intestinale. A dir il vero, con la riduzione del pH gastrico (necessario alla digestione proteica), buona parte di questi microorganismo “probiotici” viene distrutto e non è ancora ben chiaro quanto lo yogurt tradizionale possa incidere sulla “salute intestinale”.

Idratazione

6.Lo yogurt è ricco d’acqua, aspetto determinante nel mantenimento dell’idratazione corporea. Ai più, questa caratteristica potrebbe sembrare superflua; in realtà, nell’ambito di certi regimi alimentari poco equilibrati e caratterizzati dalla scarsa presenza di cibi vegetali freschi, lo yogurt contribuisce a diminuire il rischio di disidratazione

Dieta dello Yogurt: Perché è pessima?

Dopo una breve introduzione sulla scarsa idoneità della dieta dello yogurt all’alimentazione umana, vediamo più nel dettaglio come si dovrebbe strutturare e perché non è consigliabile.
La dieta dello yogurt ha una durata di 5 giorni e “dovrebbe” facilitare la riduzione del peso corporeo (dicono, fino a 3kg in 7 giorni). In realtà, com’è facilmente deducibile, non si tratta di un vero e proprio dimagrimento ed è probabile che una buona parte del peso perduto sia costituita da liquidi corporei; in tal caso, risulta caldamente SCONSIGLIATA soprattutto a chi soffre di pressione bassa!
La dieta dello yogurt prevede 2 giornate modello, delle quali: la prima ripetuta una sola volta e la seconda ben 4 volte. In sintesi (tratto dal testo: “Antologia delle Diete”):

Giorno 1:

•Appena svegli: un bicchiere di acqua tiepida
•Colazione: tè senza zucchero, 300g di yogurt magro
•Pranzo: brodo vegetale, 300g di yogurt magro
•Metà pomeriggio: 300g di yogurt magro, tè senza zucchero, 1 frutto
•Cena: minestrone di verdura, 300g di yogurt magro
•Prima di coricarsi: camomilla senza zucchero, 3 prugne secche

Giorno 2:

•Appena svegli: un bicchiere di acqua naturale
•Colazione: tè amaro, 300g di yogurt magro con 2 cucchiai di cereali
•Pranzo: brodo vegetale, 300g di yogurt magro, 1 frutto
•Metà pomeriggio: 300g di yogurt magro, tè senza zucchero, 1 frutto
•Cena: 200g di pesce al cartoccio, insalata verde con 1 cucchiaio di olio di oliva, spremuta senza zucchero, 1 panino integrale
•Prima di coricarsi: camomilla senza zucchero, 3 prugne secche.

E’ palese che si tratti di un regime alimentare poco equilibrato. Non apporta quote sufficienti di carboidrati, di lipidi, di molti sali minerali (come il ferro) e vitamine (come la vit. E, la K ecc.).

Visto il misero apporto energetico, può compromettere seriamente lo stato di salute di una persona che pratica sport; inoltre, è ancor più rischiosa per le donne gravide e le nutrici. La carenza in ferro, acido folico e cobalamina favorisce (o peggiora) il rischio di anemia e (se protratta), in gravidanza, la dieta dello yogurt può determinare la compromissione dello sviluppo nervoso del nascituro.
Si conclude sconsigliando a tutti di praticare la dieta dello yogurt; parallelamente, invitiamo  i lettori a soffermarsi sulle proprietà nutrizionali dell’alimento che, se consumato al naturale e parzialmente (o totalmente) scremato, trova largo impiego sia nella formulazione della colazione, sia nella scelta del giusto spuntino mattutino e pomeridiano. La razione giornaliera di yogurt, se non associato ad eventuali porzioni di latte, può raggiungere i 250-450g giornalieri (in base al caso specifico).

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Jul
20
Carla T. Fit. + pesistica
Carboidrati per attività aerobica
Alimentazione - Official Group
0

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Carboidrati per attività aerobica;  • Carboidrati: funzioni e ruolo dietetico nell’attività fisica aerobica  • Carboidrati per l’attività aerobica: quanti, quali e da che fonti alimentari;

 

Carboidrati per attività aerobica

 

I carboidrati sono un substrato energetico NECESSARIO alla sopravvivenza dell’essere umano; la loro quantità/percentuale nella dieta (sia essa ponderata, in eccesso o in difetto) incide notevolmente sullo stato di salute generale dell’individuo; inoltre, esistono condizioni/situazioni nelle quali i carboidrati assumono un ruolo ancor più importante: uno di questi è l’attività fisica aerobica.

Carboidrati: funzioni e ruolo dietetico nell’attività fisica aerobica

Carboidrati sportI carboidrati sono macronutrienti energetici prodotti autonomamente dagli organismi vegetali (autotrofi); d’altro canto, anche la sopravvivenza degli organismi animali dipende dalla disponibilità di queste molecole, in particolare del glucosio, che rappresenta il “CARBURANTE” dei tessuti corporei (compreso il sistema nervoso-SN).

Gli animali e l’uomo, non potendo ottemperare COMPLETAMENTE alle proprie necessità di glucosio tramite la neoglucogenesi (produzione di glucosio a partire da amminoacidi, acido lattico e glicerolo), devono procurarselo cibandosi di alimenti che contengono sufficienti quantità di carboidrati, quindi: cereali (cotti), legumi (cotti), tuberi (cotti), frutti, foglie e radici.

Il glucosio, derivante dai carboidrati alimentari e dalla neoglucogenesi, è essenziale per la respirazione cellulare dei tessuti, vediamo perché. Nella produzione di energia con l’utilizzo di ossigeno (metabolismo aerobico), i carboidrati (glucosio), come gli acidi grassi ed alcuni amminoacidi, vengono elaborati in Acetil-Coenzima A ed immessi nel ciclo di Krebs con l’obbiettivo di ricaricare i trasportatori NAD e FAD, poi impegnati nella fosforilazione ossidativa necessaria all’attivazione della pompa ATP-sintetasi. D’altro canto, il ciclo di Krebs costituisce un vero e proprio “anello perpetuo”, la cui molecola di inizio e conclusione è rappresentata dall’OSSALACETATO; questo, legando l’Acetil-Coenzima A, determina l’avviamento del ciclo stesso e si rende ESSENZIALE al corretto funzionamento dell’intero sistema. Per quanto (a rigor di logica) il ciclo di Krebs si debba concludere con un’unità di ossalacetato, spesso queste molecole subiscono un deterioramento; è quindi ovvio che, inattivandosi, l’ossalacetato necessiti d’essere rimpiazzato. Ma in che modo?

I precursori dai quali è possibile ricavare l’ossalacetato sono:
•Piruvato – derivante dal glucosio
•Asparagina o acido aspartico – amminoacidi non essenziali

In condizioni basali, il ciclo può perpetuarsi tranquillamente attingendo indistintamente all’uno o all’altro precursore; d’altro canto, lo stesso non avviene durante l’attività fisica-motoria aerobica protratta. In questa situazione, vista e considerata la rapidità con la quale avviene la respirazione cellulare, la presenza o meno dell’ossalacetato può diventare un FATTORE LIMITANTE; per far sì che il meccanismo “NON si inceppi” è fondamentale garantire il cospetto del suo precursore PIU’ FACILE e PIU’ RAPIDO da utilizzare, ovvero il piruvato ottenuto dal glucosio (carboidrati). E’ innegabile che anche l’asparagina o l’acido aspartico possano contribuire allo scopo, ma considerando la lentezza con la quale vengono impiegati e la loro scarsa presenza nella dieta (quindi nell’organismo), si può definire con certezza che il glucosio (ottenuto per mezzo dei carboidrati alimentari e/o per neoglucogenesi) costituisce una molecola energetica NECESSARIA all’attività fisica-motoria protratta e aerobica.

 

Carboidrati per attività aerobica

Carboidrati per l’attività aerobica: quanti, quali e da che fonti alimentari

Una volta chiarito PERCHE’ i carboidrati siano necessari al sostenimento dell’attività fisica-motoria aerobica prolungata, è necessario CAPIRE meglio: quanti mangiarne, di che tipo e in che alimenti trovarli.

QUANTI carboidrati per l’attività aerobica? Diciamo che la stima quantitativa dei carboidrati nella dieta è sempre empirica, pertanto la relativa applicazione nutrizionale può dimostrarsi anche più difficile del previsto. Tralasciando la ripartizione macro-nutrizionale complessiva della giornata, in questo articolo credo più opportuno soffermarmi sulla reale necessità di introdurre carboidrati ai fini della prestazione, anche se la stima di uno non può prescindere totalmente da quella dell’altro; infatti, la disponibilità di glucosio durante la prestazione dipende soprattutto da:
1.Scorte intrinseche del muscolo (pienezza delle scorte di glicogeno dei muscoli)
2.Omeostasi glicemica (pienezza delle scorte di glicogeno del fegato)

Entrambi questi fattori subiscono l’influenza dall’alimentazione e dei flussi insulinici post-prandiali dei diversi giorni antecedenti: pertanto, il pasto che precede l’allenamento o la gara di endurance prolungata (per quanto abbondante) NON è mai sufficiente a garantire completamente la richiesta di carboidrati per la contrazione muscolare aerobica prolungata. D’altro canto, pur ipotizzando che l’alimentazione dello sportivo/atleta sia sufficientemente ripartita ed equilibrata, è possibile affermare che i carboidrati utili alla pratica dell”attività aerobica prolungata debbano essere introdotti comunque prima, durante (in particolare se si tratta di sforzi che superano abbondantemente i 60′) e dopo la performance. Ovviamente, al fine di evitare una sovrabbondanza energetica con conseguente deposito adiposo, è SEMPRE necessario eseguire una stima del consumo calorico e differenziare l’apporto dell’energia nei 3 momenti sopra descritti. Ricordiamo che, durante lo sforzo, in base all’intensità e al livello di allenamento, la miscela dei vari substrati energetici (glucosio, acidi grassi, amminoacidi) cambia notevolmente e segue approssimativamente queste due equazioni:
• consumo PERCENTUALE di acidi grassi e intensità = > consumo PERCENTUALE di glucosio e amminoacidi (ramificati e non) e < consumo PERCENTUALE di acidi grassi.

Per quel che concerne l’assunzione di carboidrati prima dell’attività fisica, suggerisco caldamente di evitare le grosse porzioni e di rispettare i tempi di digestione-assorbimento; tanto prima si consumerà il pasto e maggiore potrà essere la relativa importanza calorica; d’altro canto, a ridosso dell’allenamento/gara, sarebbe opportuno NON oltrepassare le 150kcal (valutazione spannometrica del potenziale di digestione collettivo). Durante l’attività, invece, l’assunzione di carboidrati è prevalentemente vincolata dal potenziale osmotico della bevanda reidratante, quale fonte di zuccheri, acqua e sali minerali (a volte anche amminoacidi ramificati); personalmente, sconsiglio di utilizzare alimenti solidi durante lo sforzo (a meno che NON si presentino reali e concrete necessità), pertanto, la quantità di glucidi da assumere durante l’allenamento/gara corrisponde a quella miscelabile in una bevanda leggermente ipotonica del volume di circa 1,5 litri. Nel pasto dopo lo sforzo sarebbe buona norma introdurre carboidrati nel più breve tempo possibile e, in ogni caso, suggerisco di tenere a mente che, spesso, da li a poco potrebbe sopraggiungere l’orario di un pasto principale; in questa situazione si dimostra estremamente conveniente la parziale DISSOCIAZIONE dei nutrienti con prevalenza glucidica nell’immediato post-workout e prevalenza proteico-lipidica nel pasto ordinario. Facendo un breve esempio, ipotizzando un consumo di circa 600kcal con intensità medio-alta, il 60-80% del totale DEVE essere ottemperato dall’alimentazione; nella pratica, circa 400kcal verranno ripartite in 150-170kcal prima, 60-100kcal durante e 150-170kcal dopo.

QUALI carboidrati per l’attività aerobica? Per stabilire quali carboidrati siano necessari all’attività è necessario ragionare sia sulla funzione che rivestono, sia sul contesto in cui vengono inseriti. Ipotizzando una condizione OTTIMALE, è possibile affermare che:
•I carboidrati da assumere prima dell’attività aerobica dovrebbero essere a medio-basso indice glicemico, in modo da distribuire la loro perfusione nell’organismo per tutto l’arco di tempo che precede la prestazione, evitando così il manifestarsi del picco glicemico-insulinico; inoltre, meglio prediligere molecole complesse evitando di eccedere col fruttosio (contenuto soprattutto nei frutti e il cui apporto è da correlare a quello di fibra alimentare)
•I carboidrati da assumere durante l’attività aerobica dovrebbero essere a medio-alto indice glicemico, per consentire un assorbimento rapido ed un utilizzo altrettanto veloce
•I carboidrati da assumere dopo l’attività aerobica dovrebbero essere:
◦Ad alto indice glicemico se introdotti nell’immediato post-workout (primi 15′ o al massimo entro la prima ora)
◦A medio-basso indice glicemico se introdotti dopo più di 60′ dal termine della sessione.

DA CHE FONTI ALIMENTARI assumerei i carboidrati per l’attività aerobica? Nel rispetto di quanto esposto finora, è possibile affermare che le fonti di carboidrati più indicate nei vari momenti siano rispettivamente:
•Molto prima (circa 2h) dell’attività fisica aerobica: cibi e alimenti poco raffinati o contenenti carboidrati poco raffinati o composti da ingredienti con discrete quantità di fibra alimentare; prevalentemente frutta (non più di 300g per volta ed eventualmente in combinazione con altri alimenti), ortaggi, pane di segale, pane integrale, riso basmati con olio, pasta con verdure, riso con verdure ecc
•Durante l’attività fisica aerobica: MISCELE di maltodestrine, vitargo, saccarosio, glucosio e fruttosio
•Dopo l’attività fisica aerobica: cibi e alimenti PIU’ raffinati o contenenti carboidrati raffinati e PRIVI di ingredienti con discrete quantità di fibra alimentare; prevalentemente pasta bianca scondita, riso bianco scondito, pane bianco, polenta scondita, gallette, banane, patate bollite scondite ecc.

Seguendo tutte queste indicazioni è possibile NON solo migliorare il recupero, quindi la performance, ma anche comporre un eventuale regime alimentare blandamente ipocalorico finalizzato al dimagrimento, in concomitanza all’attività fisica-motoria aerobica, SENZA correre il rischio di incappare nel catabolismo muscolare indotto dall’insufficienza di carboidrati nella dieta.

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Jul
19
Carla T. Fit. + pesistica
Alimentazione: alimenti pericolosi in gravidanza
Alimentazione - Official Group
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Alimentazione: alimenti pericolosi in gravidanza;  • Premessa

• Batteri, Virus, Muffe e Parassiti

• Cos’Altro Evitare?

• Aumento dei Fabbisogni

Premessa

Alimentazione: alimenti pericolosi in gravidanza

Alimentazione: alimenti pericolosi in gravidanza

Alimentazione: alimenti pericolosi in gravidanza

 

La dieta in gravidanza è un fattore estremamente importante per:
•Garantire un elevato standard igienico e prevenire le malattie alimentari.
•Evitare le complicazioni metaboliche della madre e/o del feto.
•Assicurare lo sviluppo corretto del nascituro.

Batteri, Virus, Muffe e Parassiti

La gestazione è un periodo di grande vulnerabilità.
Alimenti Vietati in GravidanzaIn gravidanza non avviene un aumento delle possibilità di contagio; tuttavia, alcune complicazioni di certe malattie sono considerate molto gravi.
Per questo motivo, durante la gestazione è consigliabile mangiare solo alimenti tracciabili e sicuri, EVITANDO le preparazioni casalinghe o di dubbia provenienza.
Bisogna eliminare tutti i prodotti crudi a base di carne, uova e prodotti della pesca. Fanno parte di questa categoria: insaccati, carni stagionate (salate e affumicate), carpacci (carne e pesce), carne o tonno “al sangue”, tartare, molluschi crudi (ostriche, cozze ecc), sushi, maionese fresca ecc.
E’ indispensabile eliminare dalla dieta anche certi formaggi molli o freschi: gorgonzola, brie, feta, camembert, roquefort e non solo.
Gli agenti patogeni che interessano questi alimenti sono principalmente:
•HAV(virus)
•Staphylococcus aureus: batterio che produce tossine esogene ma non le spore
•Escherichia coli: alcuni producono tossine esogene ma non le spore
•Salmonella typhi e paratyphi: batteri che non produce tossine esogene e spore
•Clostridium botulinum: batterio che produce tossine esogene e spore
•Vibrio cholerae: batterio che produce tossine esogene ma non le spore
•Listeria monocytogenes: batterio che produce tossine esogene ma non le spore
•Anisakis (parassiti)
•Opisthorchiasis (parassiti)
•Toxoplasma gondii (parassita)
•Taenia solium (parassita)
•Trichinella spiralis (parassita).

La gestante deve abolire anche le salse fredde, gli alimenti cotti e consumati freddi, la carne macinata e soprattutto quando poco cotta.
Inoltre, gli ortaggi e la frutta crudi devono essere lavati accuratamente e disinfettati con soluzioni apposite (ad esempio “amuchina”).
NB. Altri alimenti che dovrebbero essere evitati dalla donna gravida sono:
•Funghi, soprattutto di provenienza NON certificata.
•Ortaggi, frutti e semi oleosi raccolti i zone inquinate (vicino alla strada, nei pressi delle industrie ecc).

Cos’altro Evitare?

Durante la gestazione possono insorgere delle complicazioni legate alla presenza o all’eccesso di certe molecole.
Per fare un esempio indicativo, fanno parte di questa categoria la nicotina del fumo di sigaretta e i principi attivi di certe droghe (anche leggere) o di alcuni farmaci.
Tuttavia, c’è ancora parecchia confusione per quel che riguarda i nervini, ovvero quei principi attivi, naturalmente presenti nei cibi e nelle bevande, che agiscono sul sistema nervoso centrale. Si tratta dell’alcol etilico, della caffeina (nel caffè), della teobromina (cacao e cioccolata) e della teofillina (nei tè, soprattutto fermentati come quello rosso e nero).
Alla donna gravida è concesso bere al massimo una unità alcolica al giorno, meglio se in corrispondenza dei pasti. In termini pratici, sarebbe consigliabile non bere più di un bicchiere di vino (125ml) o di una bottiglia di birra bionda (330ml) al dì.
Sono da evitare tutte le bevande energetiche, ovvero gli energy drink; inoltre, si consiglia di non oltrepassare le tre porzioni di caffè/tè fermentato al giorno (40ml e 150ml).
L’eccesso di additivi, soprattutto di dolcificanti, viene considerato potenzialmente nocivo. In caso di assunzione, è consigliabile non oltrepassare il limite di 7g/die.
Inoltre, durante la gravidanza, l’organismo femminile diventa meno tollerante al glucosio e più soggetto al diabete gravidico. Ciò suggerisce di porre molta attenzione alla scelta degli alimenti (prediligendo quelli a basso indice glicemico) e delle porzioni (riducendo il carico glicemico medio). Si consiglia di evitare l’eccesso di zuccheri semplici aggiunti (saccarosio, fruttosio, sciroppi ecc) e dolciumi vari.
In presenza o meno di fattori ereditari, è comunque opportuno escludere anche gli alimenti potenzialmente allergizzanti.

Aumento dei Fabbisogni

Con la gestazione aumentano le richieste nutrizionali, poiché l’organismo viene interessato dalla costruzione di nuovi tessuti. Lo sviluppo del feto necessita una correzione dietetica tutt’altro che trascurabile.
E’ necessario aumentare l’apporto energetico (circa 300kcal/die a partire dal secondo mese), salino, vitaminico e di acidi grassi essenziali (sia gli omega 3, sia gli omega 6).
Le vitamine di cui aumenta la richiesta sono: la cobalamina (vitamina B12), l’acido folico, la piridossina (vitamina B6), i retinolo equivalenti (vitamina A) e il calciferolo (vitamina D).
I sali minerali più richiesti sono: il ferro, il calcio, il fosforo e lo iodio.
La quantità di grassi e carboidrati viene incrementata proporzionalmente alle calorie totali, mentre le proteine assumono un ruolo più rilevante (circa 6g/die in più della dieta normale).
In gravidanza si può manifestare o aggravare la stipsi, ragion per cui talvolta è necessario aumentare l’apporto di fibre alimentari.

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Jul
18
Carla T. Fit. + pesistica
AFFONDI
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Fitness

Allenamento femminile

Affondi

Gli affondi

Principali muscoli attivati, tecnica di esecuzione e benefici di questo esercizio.

PREMESSA:

PER GLI UOMINI: Gli affondi creano in tutto il corpo un ambiente anaerobico, che consente di trarre il massimo anche dagli altri esercizi migliorando il livello di forza fisica generale. Inoltre, coinvolgendo molti muscoli e richiedendo molta energia stimolano il rilascio di elevate quantità di ormoni anabolici come il testosterone e l’ormone della crescita .

PER LE DONNE: Gli esercizi con i pesi liberi, per quanto pesanti essi siano, non vi faranno mai diventare una culturista. E’ fisiologicamente impossibile a meno che non si inneschino modificazioni ormonali tramite la sottoposizione a pratiche dopanti. Al contrario, gli effetti positivi ottenibili dall’allenamento con i pesi sono numerosi. Prima di tutto otterrete una figura più snella e tonica in quanto il muscolo è molto meno voluminoso del grasso; aumenterete il vostro metabolismo basale, cioè brucerete più calorie anche quando dormite o siete al lavoro, aumenterete il vostro trofismo osseo con una conseguente azione preventiva sull’eventuale comparsa di osteoporosi . Nel caso di sovrappeso, obesità o cellulite è consigliabile lavorare con carichi inferiori ed aumentare il numero di ripetizioni (oltre le 12 per serie)

L’AFFONDO TECNICA DI ESECUZIONE

affondi esecuzioniImpugna due manubri, uno per mano ed esegui un passo in avanti con il piede destro. Ora concentrati sulla tua gamba sinistra, piegala verso il basso fino a formare un angolo retto. Fermati qualche centimetro prima di toccare il pavimento con il ginocchio. Ricorda: la gamba da piegare è la sinistra, la gamba destra si flette di conseguenza non il contrario. Ora ritorna nella posizione iniziale spingendo con il piede anteriore, cioè il destro. Ripeti l’esercizio più volte (6-15).

N.B: PER COINVOLGERE MAGGIORMENTE I GLUTEI CONCENTRA LA SPINTA SUL TALLONE DEL PIEDE ANTERIORE E TIENI IL BUSTO LEGGERMENTE INCLINATO ALL’INDIETRO. E’ MOLTO IMPORTANTE CHE DURANTE IL MOVIMENTO IL GINOCCHIO DEL PIEDE ANTERIORE NON SUPERI L’ALLUCE.

Respirazione: inspirare nella fase di flessione, espirare nella fase di ritorno.

Video affondi:

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LO SQUAT BULGARO

Questo esercizio fa lavorare principalmente il quadricipite ma coinvolge anche i glutei ed i tendini del ginocchio.

Appoggia il tuo piede destro su una panca di altezza normale o su di uno sgabello. Porta in avanti il piede destro fino ad arrivare ad una posizione che consenta al ginocchio di rimanere in linea con l’alluce durante tutto l’arco del movimento.

Abbassa il corpo piegando la gamba anteriore. Ricorda: la gamba da piegare è la destra, la gamba sinistra si flette di conseguenza non il contrario. Spingi verso l’alto con la gamba anteriore senza estenderla completamente. In questa posizione mantieni la contrazione per un secondo, poi ripeti l’esercizio. Riposati un minuto e cambia gamba

Respirazione: inspirare nella fase di flessione, espirare nella fase di ritorno.

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Ultima modifica dell’articolo: 17/06/2016

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Carla T. Fit. + pesistica
Fitness: Accenni su Dieta anti age
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Fitness: Accenni su Dieta anti age;   UN PUNTO D’INCONTRO TRA DIETA A ZONA, MEDITERRANEA E ANTI-INFIAMMATORIA

 

Fitness: Accenni su Dieta anti age

 

Ormai e’ stato ampiamente dimostrato come uno stile di vita non curato sia associato ad un non ottimale invecchiamento con probabilità di sviluppare un alta incidenza di logorii infiammatori cronici  legati  alla nostra età.

Una modificazione non enzimatica delle proteine (quindi non fisiologica) che reagiscono con gli zuccheri nel sangue (un processo che e’ noto anche come reazione di Maillard accelerata da un basso PH sanguineo) porta alla formazione di prodotti finali della glicazione avanzata (advanced glycation end-products-ades) in vivo.

 

Fitness: Accenni su Dieta anti age

 

Gli AGE inducono il legame irreversibile delle molecole tra di loro e alterano in tal modo le loro proprieta’ fisico-chimiche e biologiche.

Questi prodotti della glicosilazione (o glicazione) si accumulano e sono responsabili di molte modificazioni fisiopatologiche.

Le conseguenze possono essere rigidita’ e perdita di elasticità dei tessuti ma anche all’ispessimento delle pareti capillari, nell’opacizzazione del cristallino nella cataratta. (vedi Hamer e Le 5 Leggi Biologiche)

La glicazione degli acidi nucleici può  essere all’origine delle mutazioni del DNA perché  altera le sue capacita’di replicazione e di trascrizione.

La formazione degli AGE sui lipidi prova inoltre la loro ossidazione, e favorisce lo sviluppo di lesioni vascolari.

Gli AGE sono in grado di rendere viscose le molecole plasmatiche a rinnovamento rapido, che si tratti di albumine, di anticorpi o di colesterolo LDL.

A lungo andare possono provocare arteriosclerosi, patologie renali, vascolari e neurologiche soprattutto in persone piu’ a rischio (come diabetici ed anziani).

Infine, esiste purtroppo una sinergia tra il processo di formazione dei radicali liberi e quello dei prodotti della glicazione: a generazione di questi prodotti tossici aumenta considerevolmente con l’eta, producendo un aggressione congiunta delle macromolecole da parte dei processi ossidativi, e il processo di glicazione.

Questo doppio meccanismo e’ noto come GLICOSSIDAZIONE.

La generazione di radicali liberi aumenta con l’invecchiamento man mano che si deteriora la funzione mitocondriale e anche se la produzione di energia e’ la maggiore responsabile della generazione di queste forme attivate dell’ossigeno, altre attivita’ metaboliche producono radicali liberi nell’organismo:

per esempio, la sollecitazione dei diversi sistemi di disintossicazione dalle sostanze che ingeriamo, e la stimolazione dei globuli bianchi ad opera di processi infiammatori o infettivi si accompagnano a una produzione importante di radicali liberi derivati dall’ossigeno.

Ed ecco che ricompare la parola INFIAMMAZIONE .

L’invecchiamento e’ caratterizzato da uno stato pro infiammatorio che contribuisce all’insorgenza delle principali malattie eta’ correlate (osteoartrite, osteoporosi, arteriosclerosi, diabete, Alzheimer, Parkinson ….) tanto da fare coniare un nuovo termine INFIAMM-AGING.

L’invecchiamento e’ caratterizzato da uno stato di infiammazione cronica lieve che e’ legato sia alla genetica che alla storia antigenetica di ogni individuo.

Questo tipo di processo infiammatorio puo’ condurre, alla lunga, alla compromissione di organi e apparati quindi alla riduzione della longevita’, incrementando la sensibilita’ ad alcuni fattori rischio.

Questi dati aggiungono un altro pezzo nel complesso puzzle dei fattori ambientali e genetici coinvolgenti nel controllo della longevita’ dell’uomo.

Per limitare lo stato di glicazione, di ossidazione e di infiammazione del corpo (e quindi approntare una strategia anti age) e’ di fondamentale importanza controllare l’indice glicemico dei carboidrati, evitare una diminuzione del PH ematico, evitare cibi infiammatori, apportare antiossidanti alimentari e ridurre il tenore di grasso corporeo e nel particolare il grasso viscerale.

Il punto di incontro tra la dieta mediterranea e la dieta a zona non e’ altro che il regime antinfiammatorio ed anti age che dovremmo ricercare per limitare gli effetti dell’invecchiamento.

L’effetto protettivo anti-infiammatorio e’ probabilmente da attribuire alla riduzione dello stress ossidativo per l’elevata assunzione di anti ossidanti naturali, quali quelli fenolici presenti nell’olio extravergine d’oliva, nella frutta e nella frutta secca ed all’aumentata assunzione di omega 3 derivato dal pesce e/o dall’integrazione di omega 3 ad elevata purezza.

Diversi nutrienti e biofattori ( vit. C, vit. E, carotenoidi, polifenoli, zinco, selenio, vit. D, ecc..) possono limitare la concentrazione di sostanze ossidanti fornendo un effetto protettivo contro lo stress ossidativo.

L’assunzione di carboidrati a basso indice glicemico (ma soprattutto il controllo del carico glicemico) come verdura, frutta, cereali integrali in modeste quantita’, limitera’ la produzione di insulina, che se cronicamente in eccesso crea anch’essa infiammazione corporea ED INVECCHIAMENTO PRECOCE.

Il tutto verrà “condito” dalla riduzione calorica (ricordiamoci riduzione calorica senza mal nutrizione) ormai accertata possedere effetto anti invecchiamento.

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Carla T. Fit. + pesistica
Fitness: Allenarsi con Mozart
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Fitness: Allenarsi con Mozart; La musica, è risaputo, influisce sulla psiche e sul fisico. In alcuni casi sembra che il sottofondo musicale sia di grande effetto per accrescere ed esaltare i risultati e i benefici dell’attività fisica.

 

Fitness: Allenarsi con Mozart

Ma qual è il genere musicale capace di generare maggiori benefici per l’organismo? Alcuni ricercatori -tra cui il prof. Alfred A. Tomatis dell’Accademia Francese della Medicina e della Scienza- hanno riferito che un’alta frequenza dei suoni può rivitalizzare l’intero corpo, agendo direttamente sulle cellule cerebrali. Senza dimenticare, però, che i suoni più intensi di 70 decibel risultano decisamente negativi e talvolta dannosi.
La musica di fatto è fondata sul ritmo, così come il corpo umano è una macchina ritmica. Il ritmo è uno dei fattori chiave che agiscono sui nostri impulsi biologici: le onde cerebrali, i battiti del cuore, gli atti respiratori, i passi.
Più la musica si avvicina ai ritmi fisiologici della persona, più risulta benefica per il movimento, la coordinazione e la respirazione.
Ogni evento sonoro è composto da un suono fondamentale più altri suoni più acuti, definiti armonici. Il timbro, caratterizzato appunto dai suoni armonici, è quello in grado di agire sulle alterazioni dell’emotività, normalizzandole.

 

Fitness: Allenarsi con Mozart
Il già citato prof. Tomatis nei suoi studi ha evidenziato che la musica di Wolfgang Amadeus Mozart è effettivamente ricca di questi suoni e gli strumenti che suonano le sue note esprimono l’ideale equilibrio nelle frequenze, nell’intensità, nel timbro e nel ritmo.
Le frequenze espresse, per esempio, dagli archi (violini, viole, violoncelli) stimolano il tono dei muscoli erettori del rachide -che intervengono nel mantenimento della postura-, a differenza dei moderni strumenti elettrici che tendono al contrario ad inibirlo. La musica di Mozart comprende circa 50-70 battute al minuto, come i battiti medi di un cuore bradicardico; è questo il principale motivo per cui, ascoltando la sua musica, ritmo cardiaco e pressione arteriosa tendono a normalizzarsi. I timbri di Wolfgang Amadeus Mozart sono ricchi di suoni armonici e ciò è rasserenante per lo status emotivo dell’ascoltatore (Brazzo M., “Mozart Fitness”, 2000).
Le composizioni con ritmi lenti, suoni a bassa intensità e bassa frequenza con timbri soffusi (per esempio, un Adagio) sono consigliate per gli esercizi di sintonizzazione e di defaticamento. Gli esercizi di sintonizzazione hanno come obiettivo il miglioramento della consapevolezza corporea e sono spesso basati sul controllo e la gestione della respirazione. Un ritmo costante e controllato è interessante per gli esercizi di intonizzazione, movimenti in grado di risvegliare tutti i propriocettori. Ne sono un esempio tutti gli esercizi finalizzati alla mobilità articolare, capaci di migliorare il gesto motorio ed il range di movimento.
I brani rappresentati da suoni con frequenze, intensità, timbri e ritmi medi sono indicati per gli esercizi del busto, in particolare gli addominali, i paravertebrali e i muscoli fissatori delle scapole (dentato anteriore, romboidei, ecc.). Molto consigliato in questo caso un Allegro o un Allegro Maestoso, tratto -perché no- da una “Sonata per clavicembalo e violino”.
Le musiche abbinate agli esercizi per il condizionamento aerobico, per gli arti inferiori e superiori devono essere espresse mediante suoni con intensità e ritmi elevati, per sostenere l’importante sforzo fisico (vedi le classiche lezioni di aerobica in palestra).
Le composizioni caratterizzate da suoni ad alta frequenza e ritmo deciso sono particolarmente indicate per gli esercizi posturali, ovvero tutti quegli esercizi finalizzati a compensare, a correggere e a prevenire i vizi posturali tipici dell’individuo civilizzato. Le mansioni lavorative, di fatto, sono ormai in genere statiche, continuamente in “flessione”, ed il mantenimento prolungato della posizione seduta muta la lordosi lombare in cifosi, con una conseguente perdita della capacità di estensione e di mobilità da parte della colonna vertebrale lombare.
Assolutamente da provare in questo ambito un Menuetto, sempre di Mozart, tratto dalla Sinfonia n° 6 o un Biancheggia in mar lo scoglio tratto da “Il sogno di Scipione”, magari posizionandosi in squadra con gli arti inferiori al muro e il dorso a terra, con tanto di delordosi cervicale.
Un ausilio molto indicato per il trattamento di deficit respiratori sembra essere il canto, in quanto favorisce l’assunzione naturale di ossigeno e l’incremento della capacità polmonare. Il canto induce e favorisce inoltre l’abbassamento della pressione sanguigna, rallentando al contempo il ritmo del battito cardiaco e apportando un miglioramento dell’umore.

http://www.warmfit.com/it_IT/groups/fitness-official-group/forum/

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