Il recupero è uno degli aspetti più oscuri e trascurati del ciclo “stimolo-adattamento” indotto dall’esercizio fisico, nonostante molti degli effetti provocati dall’allenamento si manifestino proprio durante e grazie ad esso.
Definiamo il recupero, in una prospettiva pratica, l’abilità di ripetere o eccedere la propria performance in una particolare attività fisica ed in relazione al tempo distinguiamo almeno tre tipologie (1):
• Immediato: è il recupero che avviene durante specifiche fasi del gesto atletico; è il caso della gamba controlaterale a quella di spinta nel corridore o della fase di sospensione che segue un balzo.
• Breve-termine: è il recupero tra le serie di uno stesso esercizio o tra esercizi successivi all’interno di uno stesso allenamento. Molto studiato in letteratura è uno dei parametri principalmente caratterizzanti l’allenamento.
• Medio-lungo termine: è il recupero che intercorre tra diverse sedute di allenamento o competizioni.
L’approccio al recupero può essere inoltre:
• Attivo: caratterizzato da specifiche attività (esercizi al suolo, in acqua, elettrostimolazione, massaggi…) susseguenti l’esercizio fisico allenante, con la finalità di aumentare la velocità di smaltimento dei sottoprodotti metabolici generati dallo stesso (su tutti l’acido lattico) e di accelerare di fatto il processo di recupero dell’organismo.
Comunemente questo termine è usato per identificare l’approccio al recupero adottato immediatamente dopo l’attività svolta; personalmente ritengo quest’accezione un po’ riduttiva e distaccandomene considererò con tale espressione l’intera strategia messa in atto dal soggetto nel periodo intercorrente gli allenamenti.
• Passivo: sottintende il semplice concetto di “lasciar fare” al nostro corpo senza indurre ulteriori stimoli post-allenamento. Tale tipo di recupero non prevede dunque nessuna strategia avente il fine di massimizzarne gli attributi.
DISCUSSIONE
Durante la fase di recupero il nostro organismo subisce importanti modificazioni innescando un processo di riparazione volto al ripristino dello stato funzionale ottimale ed al potenziamento delle “difese” (supercompensazione) in vista di un prossimo eventuale “attacco” da fronteggiare.
Le principali variabili che influenzano il tempo necessario affinché tale processo si svolga interamente e correttamente sono:
• Condizione psico-fisica
• Esperienza di allenamento
• Età
• Sesso
• Nutrizione
• Idratazione
• Integrazione/supplementazione (uso di farmaci…)
• Ore di sonno
• Specificità dello stress derivante dalla prestazione eseguita
• Specifiche strategie di recupero
• Stile di vita
L’approccio al recupero è dunque da studiare seguendo una prospettiva multidimensionale in cui i fattori elencati interagiscono e si influenzano vicendevolmente concorrendo al raggiungimento del risultato finale.
Le principali strategie di recupero sulle quali il personal trainer ha la possibilità di lavorare sono:
• Alimentazione: un’alimentazione che preveda macro e micronutrienti bilanciati in relazione alle specifiche esigenze dell’atleta ed all’attività svolta è assolutamente uno dei fattori più influenti sul corretto recupero.
E’ superfluo indicare questa o quella dieta: sarà il nutrizionista, con l’ausilio del personal trainer, ad elaborare la dieta più appropriata per l’atleta.
• Idratazione: un corretto apporto di liquidi, al di là delle semplicistiche raccomandazioni di bere almeno “6 bicchieri d’acqua al giorno”, andrebbe misurato e monitorato con regolarità ricorrendo ad apparecchiature idonee (bioimpedenziometria per esempio).
E’ stato dimostrato, infatti, quanto una giusta idratazione influenzi il livello di prestazione e aiuti il successivo recupero in numerosi sport.
E’ bene ricordare di reintegrare anche gli elettroliti in relazione al quantitativo di acqua da assumere (2).
• Integrazione: Esistono numerosi prodotti, la maggior parte di dubbia validità.
Un programma di integrazione andrebbe studiato in base alle reali carenze dell’atleta, allo sport praticato ed al periodo dell’anno.
Le sostanze ritenute utili al processo di recupero sono: glutammina, creatina, multivitaminico/multiminerale; in aggiunta, post-allenamento, durante quella che comunemente si definisce finestra anabolica o d’opportunità, una bevanda a base di carboidrati ad alto indice glicemico, proteine idrolizzate del siero del latte (od aminoacidi) ed una piccola quantità di grassi “buoni” si è dimostrata efficace nel ripristinare più velocemente le riserve di glicogeno nel fegato e nei muscoli e nello stimolare una maggior sintesi proteica (3).
• Recupero attivo post-allenamento: Tale metodica prevede che al termine dell’allenamento (o tra le serie) vengano svolti esercizi (a terra, in acqua, cyclette, tapis roulant.. etc) caratterizzati da intensità medio-basse al fine principale di metabolizzare più rapidamente l’acido lattico.
Fatti svolgere tanto su soggetti sedentari quanto su atleti di esperienza, i risultati sono stati estremamente contrastanti e l’efficacia di tale metodologia è da considerare ancora scientificamente dubbia.
Alla luce di esiti positivi molto significativi sperimentati in alcuni casi è plausibile comunque pensare che la “resa” di tale pratica sia estremamente dipendente da come essa venga posta in essere dal preparatore ed eseguita dall’atleta (4).
• Periodo di scarico: sono microcicli della durata complessiva compresa tra i 7 e i 28 giorni caratterizzati da una riduzione di volume, intensità o frequenza di allenamento.
Tali periodi si sono dimostrati efficaci sull’aumento della performance, nella riduzione degli infortuni e nel migliorare la propensione psicologica verso l’allenamento su atleti di esperienza (5).
E’ suggerito pertanto l’inserimento di periodi di scarico nell’arco della periodizzazione annuale di sportivi di medio-alto livello.
• Elettrostimolazione: numerosi lavori hanno studiato gli effetti dell’uso di correnti elettriche abbinate all’esercizio fisico volontario su soggetti in salute (sedentari o allenati).
I risultati ottenuti sono stati significativi aumenti della sezione traversa del muscolo, forza isometrica e dinamica (6).
Il recupero, in verità poco menzionato in queste ricerche, non sembra comunque essere influenzato significativamente da tale metodica.
• Massaggio: Sono in molti ad aver provato, almeno una volta nella vita, il massaggio di un professionista ed altrettanti gli atleti di èlite che si avvalgono di un massaggiatore.
Ad oggi, non vi sono però evidenze scientifiche sull’utilità di tale pratica sul processo di recupero; il massaggio, eseguito post-allenamento, non sembra avere effetto né sulla riduzione dei DOMS (7) né sullo smaltimento dell’ acido lattico (8); gli eventuali benefici derivanti da tale pratica sono da ricondurre al solo aspetto psicologico.
• Crioterapia: eseguita prevalentemente immergendo la parte del corpo interessata in acqua a temperatura intorno ai 10° (o con veri e propri impacchi di ghiaccio) si reputa tale pratica priva di efficacia sul recupero, se non controproducente (9).
• Sauna: l’utilizzo della sauna, subito dopo un allenamento intenso, oltre a non avere una corretta sequenza fisiologica, sembra essere del tutto privo di efficacia sul processo di recupero (10); in alcuni casi piuttosto, a seguito di una non corretta reidratazione, la performance svolta poco dopo è apparsa compromessa (11).
Inoltre, che sia chiaro a tutti…: non fa dimagrire!
Per coloro che avessero intenzione di farla è consigliato in ogni caso il parere del medico.
CONCLUSIONI
Il personal trainer, nella preparazione dei programmi di allenamento per i propri clienti, non può prescindere dal considerare l’aspetto del recupero.
Overreaching e overtraining (underrecovering…) sono all’ordine del giorno per buona parte degli sportivi ed il cliente che verrà ad allenarsi in palestra sarà il più delle volte in condizione deficitaria rispetto ad un ideale stato funzionale, eppure il trainer di turno “risolverà” ogni problema, sempre e comunque… semplicemente aumentando il carico di lavoro! Errore.
Il punto è proprio di non preoccuparsi esclusivamente di “stressare” l’organismo, confondendo il mezzo con il fine, ma di somministrare gli allenamenti in modo da permettere al corpo di recuperare e supercompensare, nostro unico obiettivo.
Per ottimizzare tale lavoro è indispensabile tenere a mente le variabili che condizionano il recupero, individuando quali di esse ed in che modo caratterizzano il cliente, stilando ed essendo pronti a modificare il programma anche in funzione di queste.
Ricordate: non sarà il cliente che si allenerà di più ad avere la strada spianata verso il successo, ma quello che recupererà prima…
Per coloro che a questo punto si staranno chiedendo esattamente cosa fare per recuperare il più velocemente possibile dico: “non esiste a priori una forma di recupero attivo migliore di un’altra, che valga sempre e per tutti, esiste la forma migliore per ciascun cliente in un dato momento”.
Pertanto, personalizzate il recupero esattamente come fareste con l’allenamento!
posso?
Personalizzazione del recupero
Il recupero è uno degli aspetti più oscuri e trascurati del ciclo “stimolo-adattamento” indotto dall’esercizio fisico, nonostante molti degli effetti provocati dall’allenamento si manifestino proprio durante e grazie ad esso.
Definiamo il recupero, in una prospettiva pratica, l’abilità di ripetere o eccedere la propria performance in una particolare attività fisica ed in relazione al tempo distinguiamo almeno tre tipologie (1):
• Immediato: è il recupero che avviene durante specifiche fasi del gesto atletico; è il caso della gamba controlaterale a quella di spinta nel corridore o della fase di sospensione che segue un balzo.
• Breve-termine: è il recupero tra le serie di uno stesso esercizio o tra esercizi successivi all’interno di uno stesso allenamento. Molto studiato in letteratura è uno dei parametri principalmente caratterizzanti l’allenamento.
• Medio-lungo termine: è il recupero che intercorre tra diverse sedute di allenamento o competizioni.
L’approccio al recupero può essere inoltre:
• Attivo: caratterizzato da specifiche attività (esercizi al suolo, in acqua, elettrostimolazione, massaggi…) susseguenti l’esercizio fisico allenante, con la finalità di aumentare la velocità di smaltimento dei sottoprodotti metabolici generati dallo stesso (su tutti l’acido lattico) e di accelerare di fatto il processo di recupero dell’organismo.
Comunemente questo termine è usato per identificare l’approccio al recupero adottato immediatamente dopo l’attività svolta; personalmente ritengo quest’accezione un po’ riduttiva e distaccandomene considererò con tale espressione l’intera strategia messa in atto dal soggetto nel periodo intercorrente gli allenamenti.
• Passivo: sottintende il semplice concetto di “lasciar fare” al nostro corpo senza indurre ulteriori stimoli post-allenamento. Tale tipo di recupero non prevede dunque nessuna strategia avente il fine di massimizzarne gli attributi.
DISCUSSIONE
Durante la fase di recupero il nostro organismo subisce importanti modificazioni innescando un processo di riparazione volto al ripristino dello stato funzionale ottimale ed al potenziamento delle “difese” (supercompensazione) in vista di un prossimo eventuale “attacco” da fronteggiare.
Le principali variabili che influenzano il tempo necessario affinché tale processo si svolga interamente e correttamente sono:
• Condizione psico-fisica
• Esperienza di allenamento
• Età
• Sesso
• Nutrizione
• Idratazione
• Integrazione/supplementazione (uso di farmaci…)
• Ore di sonno
• Specificità dello stress derivante dalla prestazione eseguita
• Specifiche strategie di recupero
• Stile di vita
L’approccio al recupero è dunque da studiare seguendo una prospettiva multidimensionale in cui i fattori elencati interagiscono e si influenzano vicendevolmente concorrendo al raggiungimento del risultato finale.
Le principali strategie di recupero sulle quali il personal trainer ha la possibilità di lavorare sono:
• Alimentazione: un’alimentazione che preveda macro e micronutrienti bilanciati in relazione alle specifiche esigenze dell’atleta ed all’attività svolta è assolutamente uno dei fattori più influenti sul corretto recupero.
E’ superfluo indicare questa o quella dieta: sarà il nutrizionista, con l’ausilio del personal trainer, ad elaborare la dieta più appropriata per l’atleta.
• Idratazione: un corretto apporto di liquidi, al di là delle semplicistiche raccomandazioni di bere almeno “6 bicchieri d’acqua al giorno”, andrebbe misurato e monitorato con regolarità ricorrendo ad apparecchiature idonee (bioimpedenziometria per esempio).
E’ stato dimostrato, infatti, quanto una giusta idratazione influenzi il livello di prestazione e aiuti il successivo recupero in numerosi sport.
E’ bene ricordare di reintegrare anche gli elettroliti in relazione al quantitativo di acqua da assumere (2).
• Integrazione: Esistono numerosi prodotti, la maggior parte di dubbia validità.
Un programma di integrazione andrebbe studiato in base alle reali carenze dell’atleta, allo sport praticato ed al periodo dell’anno.
Le sostanze ritenute utili al processo di recupero sono: glutammina, creatina, multivitaminico/multiminerale; in aggiunta, post-allenamento, durante quella che comunemente si definisce finestra anabolica o d’opportunità, una bevanda a base di carboidrati ad alto indice glicemico, proteine idrolizzate del siero del latte (od aminoacidi) ed una piccola quantità di grassi “buoni” si è dimostrata efficace nel ripristinare più velocemente le riserve di glicogeno nel fegato e nei muscoli e nello stimolare una maggior sintesi proteica (3).
• Recupero attivo post-allenamento: Tale metodica prevede che al termine dell’allenamento (o tra le serie) vengano svolti esercizi (a terra, in acqua, cyclette, tapis roulant.. etc) caratterizzati da intensità medio-basse al fine principale di metabolizzare più rapidamente l’acido lattico.
Fatti svolgere tanto su soggetti sedentari quanto su atleti di esperienza, i risultati sono stati estremamente contrastanti e l’efficacia di tale metodologia è da considerare ancora scientificamente dubbia.
Alla luce di esiti positivi molto significativi sperimentati in alcuni casi è plausibile comunque pensare che la “resa” di tale pratica sia estremamente dipendente da come essa venga posta in essere dal preparatore ed eseguita dall’atleta (4).
• Periodo di scarico: sono microcicli della durata complessiva compresa tra i 7 e i 28 giorni caratterizzati da una riduzione di volume, intensità o frequenza di allenamento.
Tali periodi si sono dimostrati efficaci sull’aumento della performance, nella riduzione degli infortuni e nel migliorare la propensione psicologica verso l’allenamento su atleti di esperienza (5).
E’ suggerito pertanto l’inserimento di periodi di scarico nell’arco della periodizzazione annuale di sportivi di medio-alto livello.
• Elettrostimolazione: numerosi lavori hanno studiato gli effetti dell’uso di correnti elettriche abbinate all’esercizio fisico volontario su soggetti in salute (sedentari o allenati).
I risultati ottenuti sono stati significativi aumenti della sezione traversa del muscolo, forza isometrica e dinamica (6).
Il recupero, in verità poco menzionato in queste ricerche, non sembra comunque essere influenzato significativamente da tale metodica.
• Massaggio: Sono in molti ad aver provato, almeno una volta nella vita, il massaggio di un professionista ed altrettanti gli atleti di èlite che si avvalgono di un massaggiatore.
Ad oggi, non vi sono però evidenze scientifiche sull’utilità di tale pratica sul processo di recupero; il massaggio, eseguito post-allenamento, non sembra avere effetto né sulla riduzione dei DOMS (7) né sullo smaltimento dell’ acido lattico (8); gli eventuali benefici derivanti da tale pratica sono da ricondurre al solo aspetto psicologico.
• Crioterapia: eseguita prevalentemente immergendo la parte del corpo interessata in acqua a temperatura intorno ai 10° (o con veri e propri impacchi di ghiaccio) si reputa tale pratica priva di efficacia sul recupero, se non controproducente (9).
• Sauna: l’utilizzo della sauna, subito dopo un allenamento intenso, oltre a non avere una corretta sequenza fisiologica, sembra essere del tutto privo di efficacia sul processo di recupero (10); in alcuni casi piuttosto, a seguito di una non corretta reidratazione, la performance svolta poco dopo è apparsa compromessa (11).
Inoltre, che sia chiaro a tutti…: non fa dimagrire!
Per coloro che avessero intenzione di farla è consigliato in ogni caso il parere del medico.
CONCLUSIONI
Il personal trainer, nella preparazione dei programmi di allenamento per i propri clienti, non può prescindere dal considerare l’aspetto del recupero.
Overreaching e overtraining (underrecovering…) sono all’ordine del giorno per buona parte degli sportivi ed il cliente che verrà ad allenarsi in palestra sarà il più delle volte in condizione deficitaria rispetto ad un ideale stato funzionale, eppure il trainer di turno “risolverà” ogni problema, sempre e comunque… semplicemente aumentando il carico di lavoro! Errore.
Il punto è proprio di non preoccuparsi esclusivamente di “stressare” l’organismo, confondendo il mezzo con il fine, ma di somministrare gli allenamenti in modo da permettere al corpo di recuperare e supercompensare, nostro unico obiettivo.
Per ottimizzare tale lavoro è indispensabile tenere a mente le variabili che condizionano il recupero, individuando quali di esse ed in che modo caratterizzano il cliente, stilando ed essendo pronti a modificare il programma anche in funzione di queste.
Ricordate: non sarà il cliente che si allenerà di più ad avere la strada spianata verso il successo, ma quello che recupererà prima…
Per coloro che a questo punto si staranno chiedendo esattamente cosa fare per recuperare il più velocemente possibile dico: “non esiste a priori una forma di recupero attivo migliore di un’altra, che valga sempre e per tutti, esiste la forma migliore per ciascun cliente in un dato momento”.
Pertanto, personalizzate il recupero esattamente come fareste con l’allenamento!
Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/allenamento/recupero1.html