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Ago
9
Carla T. Fit. + pesistica

acido folico in gravidanza

sport - official group
0

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Acido folico in gravidanza

• Acido Folico e Folati in Gravidanza

• Dove si trova l’acido folico? Gli alimenti giusti in gravidanza

• Perché l’acido folico è importante durante la gravidanza?

• Quanto acido folico e per quanto tempo

Acido Folico e Folati in Gravidanza

Durante la gravidanza il fabbisogno di acido folico aumenta sensibilmente, tanto da rendere spesso insufficiente l’apporto alimentare di questa preziosa vitamina.

Acido folicoIl termine acido folico deriva dal latino folium, un chiaro riferimento ai vegetali a foglia verde e larga, che rappresentano le più importanti fonti dietetiche di questa sostanza idrosolubile, altrimenti nota come vitamina B9. Sebbene i due termini siano spesso utilizzati come sinonimi, acido folico e folati non sono esattamente la stessa cosa. L’acido folico, infatti, rappresenta la forma più ossidata e stabile della vitamina; raro nei comuni alimenti, viene sintetizzato in laboratorio e destinato alla fortificazione dei prodotti alimentari e alla preparazione di supplementi vitaminici, inclusi quelli consigliati in gravidanza. Acido folico in gravidanzaFolati, invece, è un termine generico, riferito a tutti i composti con attività vitaminica B9 (acido folico, folinico, tetraidrofolato etc.); queste sostanza hanno un’ottima biodisponibilità, sovrapponibile a quella dell’acido folico, ma risultano facilmente denaturabili con il calore, la luce, la cottura e la conservazione.

Alla copertura del fabbisogno quotidiano di acido folico, accanto all’apporto alimentare, concorre anche la piccola quota di folati prodotta dalla flora batterica intestinale.

Dove si trova l’acido folico? Gli alimenti giusti in gravidanza

L’acido folico abbonda negli ortaggi a foglia verde, nei carciofi, nelle rape, nel lievito di birra, nei cereali – specie se integrali – nei legumi, nel tuorlo d’uovo, nel fegato, nei kiwi e nelle fragole (vedi l’articolo relativo a: folati negli alimenti).

Come la maggior parte delle vitamine idrosolubili, l’acido folico viene in gran parte denaturato durante i processi di lavorazione degli alimenti. La conservazione e la cottura dei cibi, ad esempio, distruggono fino al 95% del patrimonio originario di folati; una verdura a foglia verde conservata a temperatura ambiente per tre giorni, invece, vede ridursi tale disponibilità fino al 70%. Inoltre, l’interazione delle varie sostanze alimentari – provenienti dallo stesso alimento o da cibi consumati nel medesimo pasto – può ridurre fino al 50% la biodisponibilità dei folati alimentari; di conseguenza, si ritiene che solo la metà della quota ingerita venga effettivamente assorbita.

Fumo di sigaretta, alcool (entrambi da evitare assolutamente in gravidanza) ed alcuni medicinali, possono aumentare sensibilmente il fabbisogno di acido folico. Tra i farmaci ricordiamo la pillola anticoncezionale, la cui sospensione d’uso per la ricerca di una gravidanza può esporre la donna ad una carenza proprio nel periodo più delicato, che come vedremo in seguito è proprio quello attiguo al concepimento. Tra i medicinali in grado di interferire con il metabolismo dell’acido folico ricordiamo anche i chemioterapici antiblastici (come il metotrexate) e gli anticonvulsivanti (come l’acido valproico, la difenilidantoina, l’aminopterina e la carbamazepina).

Esistono infine delle differenze genetiche di natura enzimatica, tali per cui alcune donne, in gravidanza e non solo, necessitano di quantitativi superiori di acido folico rispetto ad altre.

Per quanto esposto sinora, il miglior modo per coprire il fabbisogno quotidiano di acido folico sarebbe quello di consumare frutta e verdura crude, quanto più possibile fresche. Va precisato, comunque, che durante la gravidanza è bene lavare con particolare cura i vegetali da consumare crudi, evitando quelli già pronti al bar o in gastronomia per il pericolo di contrarre la toxoplasmosi o qualche malattia alimentare (eventualmente utilizzare soluzioni antibatteriche come l’amuchina). In gravidanza è altresì sconsigliabile il consumo del fegato come alimento, sia perché “filtro” deputato alla metabolizzazione di sostanze tossiche, sia per l’alto contenuto in vitamina A.

Perché l’acido folico è importante durante la gravidanza?

L’acido folico – tra l’altro – viene utilizzato dall’organismo per la riproduzione cellulare; esso interviene nella sintesi di DNA, proteine ed emoglobina (partecipa all’eritropoiesi, processo di formazione dei globuli rossi), per cui una sua carenza è associata ad una forma anemica detta megaloblastica.

Fin dai primissimi stadi di gravidanza, il prodotto del concepimento (prima zigote, poi embrione, poi feto) diviene un grandissimo consumatore di folati, a causa degli intensi processi di proliferazione e differenziazione cellulare. Anche l’aumento dell’eritropoiesi materna contribuisce ad aumentare i fabbisogni di acido folico durante la gravidanza (in vista del parto la volemia sarà aumentata di un 30-50% rispetto ai valori pregravidici).

Una carenza di acido folico durante le prime fasi di gestazione aumenta il rischio di malformazioni neonatali, in particolare di quelle a carico del tubo neurale (DTN). Con questo termine si indica un gruppo eterogeneo di malformazioni, accumunate da un’anomala chiusura del tubo neurale durante la quarta settimana di sviluppo embrionale (il tubo neurale è la struttura da cui si origina il sistema nervoso centrale, quindi il cervello ed il midollo spinale). I più frequenti difetti del tubo neurale sono l’anencefalia (50% dei casi) ed i difetti di chiusura della colonna vertebrale (spina bifida, 40% dei casi) e della volta cranica (encefalocele, 10% dei casi). A differenza del primo, questi ultimi sono spesso compatibili con la vita, ma si associano a deficit neurologici e a malformazioni fisiche di vario grado (spesso severe).

L’incidenza complessiva dei DTN in Italia è bassa, ma non trascurabile (0,7-1‰ – 0,7 -1 per mille).

L’integrazione con acido folico non azzera il rischio che il prodotto del concepimento sviluppi difetti di chiusura del tubo neurale, ma lo riduce in maniera significativa; a grandi linee lo diminuisce di un 30-40% al dosaggio di 0,4 mcg/die, fino ad un 70-80% a dosi di 4-5 mg/die. Nel corso di vari studi, inoltre, è stato dimostrato come l’acido folico sia in grado di prevenire la comparsa di altre malformazioni congenite, tra cui cardiopatie, labiopalatoschisi, difetti dell’apparato urinario, ipo-agenesia degli arti, onfalocele e atresia anale.

L’attività preventiva dell’acido folico nei confronti dell’iperomocisteinemia contribuisce a ridurre il rischio cardiovascolare della madre, tanto che è stato ipotizzato un ruolo preventivo nei confronti dell’ipertensione gravidica e delle sue complicanze. Per questo, l’integrazione di acido folico potrebbe ricoprire un importante ruolo preventivo nei confronti di preeclampsia ed eclampsia, aborto spontaneo ricorrente, distacco di placenta, ritardo di crescita, basso peso alla nascita e morte intrauterina.

Quanto acido folico e per quanto tempo

Per prevenire i difetti di chiusura del tubo neurale, ogni donna dovrebbe assumere 400 µg (400 mcg = 0,4 mg) di acido folico al giorno sottoforma di specifici integratori. Per quanto detto nei paragrafi precedenti, è fondamentale che tale assunzione inizi un mese prima del concepimento (per aumentare le riserve) e continui per tutto il primo trimestre di gravidanza. Questo particolare dosaggio di acido folico è raccomandato a TUTTA la popolazione in età fertile che non applica efficaci misure anticoncezionali. Dosi superiori ai 0,4 mg di acido folico al giorno possono essere specificamente consigliate soltanto alle donne che hanno già avuto un figlio colpito da difetti di chiusura del tubo neurale, o con familiarità per questo genere di malformazioni. Recenti evidenze scientifiche, infatti, suggeriscono come un aumento dei dosaggi fino a 5 mg al giorno abbia effetti più incisivi nella riduzione del rischio di DTN. Particolare attenzione al corretto schema di supplementazione vitaminica andrà pertanto riposta nelle donne considerate a rischio (problemi di malassorbimento – come la celiachia o il morbo di Crohn – utilizzo di farmaci che possono interferire con il metabolismo dell’acido folico, deficit enzimatici specifici ecc.). Nelle gestanti non a rischio, l’utilizzo di dosaggi pari a 0,4 mg/die – con la raccomandazione di non superare il mg/die – nasce dal timore di ipotetici rischi fetali legati all’elevato livello ematico di acido folico di origine sintetica.

Sotto consiglio medico, durante la gravidanza l’acido folico può essere assunto anche sottoforma di integratore multivitaminico; a tal proposito si raccomanda di scegliere un prodotto privo di vitamina A (retinolo), poiché dosi eccessive di questa vitamina possono produrre effetti teratogeni (indurre malformazioni fetali); in particolare, l’introduzione di vitamina A sottoforma di integratori multivitaminici contenenti retinolo non dovrebbe superare le 3.000-5.000 UI/di. Non sembrano invece sussistere particolari rischi quando la vitamina A viene assunta sottoforma di precursori vegetali (carotenoidi).

Dato che una buona percentuale delle gravidanze non è in alcun modo pianificata dai genitori, molte nazioni hanno intrapreso campagne di fortificazione delle farine e dei cereali con acido folico, in modo da aumentare l’apporto quotidiano della vitamina.

Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/acido-folico-gravidanza.html

Ago
8
Carla T. Fit. + pesistica

acqua per dimagrire

sport - official group
0

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Acqua per dimagrire?

Articoli correlati: quando bere; quanto e quando bere

La maggioranza delle diete e di chi le prescrive sottolinea con enfasi l’importanza dell’acqua in una sana alimentazione.

Ma l’acqua fa dimagrire?

La risposta è palesemente negativa: se fosse positiva, ad ogni bicchiere di acqua sorseggiato bruceremmo delle calorie aggiuntive. Questo, ovviamente, non succede, poiché se da un lato l’acqua non apporta energia, dall’altro non ha alcuna capacità intrinseca di aumentare il metabolismo corporeo, come fanno invece alimenti nervini quali tè e caffè.

Bere esagerate quantità di acqua nella speranza di dimagrire può addirittura rivelarsi pratica pericolosa per la salute. Sforzarsi a bere di più durante i pasti, per esempio, “spegne il fuoco con cui bruciano gli alimenti” (rallenta e compromette la digestione, diluendo eccessivamente i succhi digestivi). L’acqua, una volta assorbita a livello intestinale, finisce nel sangue, regolandone il volume; se beviamo troppo, quindi, aumenta il volume del plasma e con esso la pressione arteriosa. Infine, l’eccessiva diluizione degli elettroliti, in particolare del sodio (lo tengano ben presente le persone che amano le acque che ne sono povere), può essere assai pericolosa ed addirittura letale nei casi estremi.

Bere acqua aiuta a dimagrire?

In questo caso la risposta può diventare positiva sulla base di alcune considerazioni. Vediamole nel dettaglio.

Se l’acqua viene bevuta al posto di alcolici, succhi di frutta, bevande dolcificate ecc., il minor introito calorico non può che giovare al dimagrimento.

Nelle persone che bevono poco, e sono davvero molte, può capitare che un bisogno di acqua venga confuso con un bisogno di cibo; sembra una sciocchezza ma esiste un fondo di verità, dal momento che gli alimenti contengono una certa percentuale di acqua (prossima all’80-90% nella maggior parte della verdura e della frutta fresca).

Bere acqua gelida, in teoria, può aiutare a perdere qualche caloria in più, ma si tratta ovviamente di una pratica assai pericolosa e sconsigliata.

Bere uno o due bicchieri di acqua prima dei pasti contribuisce a stimolare il senso di sazietà , diminuendo la quota di cibo ingerita.

Bere poco fa ingrassare?

Anche in questo caso potrebbe esserci un fondo di verità. Sappiamo, ad esempio, che il tessuto adiposo è assai povero di acqua, che abbonda invece in quello muscolare; non a caso, i soggetti obesi hanno una percentuale di acqua corporea inferiore a quelli magri. Anche la sintesi di glicogeno, al contrario della lipogenesi, richiede notevoli quantità di acqua, dal momento che ogni grammo di questo polisaccaride ne lega a sé quasi 3 grammi.

Negli sportivi impegnati in sport di resistenza, la carenza di acqua favorisce il catabolismo muscolare, con inevitabile diminuzione del metabolismo (il cortisolo, ormone dello stress, ha attività antidiuretica e la sua secrezione aumenta in carenza d’acqua; nel contempo la disidratazione riduce la secrezione di testosterone)*.

Una corretta assunzione di acqua, inoltre, favorisce l’eliminazione delle tossine dall’organismo, che in virtù della loro lipofilia tendono ad accumularsi nel tessuto adiposo. Un eccesso di tossine in circolo per ridotta assunzione di acqua, potrebbe quindi avere un effetto ingrassante, oltre che decisamente poco salutare.

Anche se il nostro organismo possiede meccanismi estremamente efficaci per regolare le perdite idriche in funzione delle entrare, bere nelle giuste quantità è molto importante. Più che farlo nella speranza di dimagrire, quindi, ha più senso bere per star bene ed evitare tutte le spiacevoli conseguenze della disidratazione.

Ago
8
Carla T. Fit. + pesistica

alimentazione: abbassare il colesterolo

sport - official group
0

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Abbassare il colesterolo

Il primo e fondamentale approccio correttivo per abbassare il colesterolo è quello igienico – dietetico. Per questo, l’adozione di una dieta sana ed equilibrata – unitamente all’astensione Abbassare il colesterolodal fumo di sigaretta e alla pratica di regolare attività fisica – dev’essere considerata alla stregua di un vero e proprio farmaco. Non solo, spesso i risultati perseguibili risultano addirittura maggiori e vengono ulteriormente valorizzati dall’assenza degli effetti collaterali inevitabilmente associati all’assunzione di un medicinale. L’eventuale insuccesso di questi interventi impone il ricorso a farmaci in grado di abbassare il colesterolo, che non devono tuttavia sostituirsi, ma associarsi, ad uno stile di vita appropriato. In questo modo, infatti, si potrà sfruttare l’azione sinergica dei due interventi.

Ago
7
Carla T. Fit. + pesistica

Psicologia: Quali effetti psicologici dalla pratica sportiva

Psicologia - ITA Official Group
0

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Psicologia: Quali effetti psicologici dalla pratica sportiva;    Che il benessere fisico si rifletta anche sul benessere psicologico ed emotivo, non è affermazione dei tempi nostri.

Psicologia: Quali effetti psicologici dalla pratica sportiva

Importanza della psicologia nello Sport

 

Psicologia: Quali effetti psicologici dalla pratica sportiva

 

Già gli antichi, affermavano che nello studio dei “fenomeni” del corpo fosse impossibile prescindere da una concezione olistica dell’uomo centrata sull’unitarietà mente-corpo, benessere fisico- benessere psichico.

Ma come la salute fisica possa influenzare l’emotività, quali meccanismi (fisiologici e non) sottendano tale processualità è ancora oggi- come allora- fatto ben lontano dal poter essere definito. In questo ci aiutano branche della scienza quali la psicofisiologia, la medicina, come anche ambiti di ricerca molto specifici della Psicologia della Salute e della Psicologia dello Sport.

In particolare, solo di recente l’attenzione sugli aspetti psicologici attinenti alla pratica sportiva ha permesso il fiorire di studi sperimentali su gli effetti terapeutici dello sport in varie forme di psicopatologia e, quindi, anche chiarire un po’ quali siano i meccanismi neurochimici e neurobiologici in grado di motivare un tono d’umore migliore, una migliore autostima, un emotività equilibrata, buona qualità del sonno e delle risposte allo stress negli sportivi.

Per quanto la scienza ancora non fornisca risposte univoche e definitive in merito, è comunque interessante seguire da lontano ( tutti gli studi vengono dall’America!) i contributi che la ricerca sta realizzando con soggetti normali e persone affette da psicopatologie, sia in laboratorio che ‘in vivo’, ossia mentre praticano sport o mentre li si coinvolge attivamente in programmi esperienziali in grado di modificare il loro stile di vita in termini di maggiore attività sportiva.

È stato allora dimostrato con dati evidence based (basati cioè su un’evidenza scientifica) che l’attività fisica può e deve essere considerata un comportamento di autoprotezione della salute; sappiamo oggi con certezza che fare sport con regolarità:

-Aumenta delle prestazioni fisiche
-Migliora l’efficienza dell’apparato cardiocircolatorio
-Diminuisce la pressione arteriosa sotto sforzo
-Diminuisce la frequenza cardiaca ad un dato sforzo
-Favorisce una Maggiore capillarizazione
-Aumenta il volume sanguigno e della massa di globuli rossi
-Riduce la tendenza ad eventi trombotici
-Migliora la funzionalità del sistema polmonare
-Dà Minore frequenza e profondità respiratoria
-Riduce l’incidenza di asma e allergie
-Migliora la funzionalità intestinale
-Contrasta la perdita dei minerali ossei
-Dona un miglior aspetto della cute
-Determina una Maggiore tolleranza allo sforzo e una minore percezione della fatica
-Aumenta del tono muscolare con maggior protezione delle cartilagini articolari
-Previene patologie cardiache
-Previene il diabete
-Previene alcuni tumori
-Riduce il colesterolo cattivo e di quello totale
-Riduce i trigliceridi nel sangue

e, chiaramente, è possibile anche sostenere che un migliore stato di salute si collega ad una migliore qualità della vita.
Sappiamo anche che praticare sport ha effetto sulla depressione, o comunque su condizioni di umore ‘basso’.

Sembra che già nell’antica Grecia Ippocrate prescrivesse l’attività fisica ai pazienti melanconici. Solo con i primi studi scientifici però,  condotti negli anni ’70, vennero mostrati sia gli esiti positivi dell’attività fisica sulla depressione sia una maggiore incidenza di quest’ultima tra i soggetti sedentari.

È stato anche osservato che gli effetti positivi sul tono dell’umore si manifestano immediatamente, cioè al termine di una sessione d’esercizio in soggetti a lungo sedentari, ma ovviamente la pratica continuativa (almeno alcuni mesi, con una frequenza ed intensità adeguate) permette di raggiungere il massimo effetto terapeutico.

Ma cosa determina questi effetti, spesso anche sovrapponibili agli esiti ottenuti con la psicoterapia o attraverso la cura psicofarmacologica?

È immediato pensare alla possibilità di svago, alla distrazione dai propri problemi, al miglioramento dell’immagine di sé e dell’autostima, al piacere di praticare in gruppo, ma non si conosce il peso di tali fattori né il modo in cui potrebbero agire in direzione dello stato di benessere.

Appare più utile appellarsi ad una spiegazione neurofisiologica; ed in particolare, non potendo affermare con certezza che lo sport determini nell’uomo (perché negli animali è stato studiato) un aumento di determinati neurotrasmettitori o di loro precursori nel sangue (noradrenalina, serotonina) in grado di agire su centri nervosi responsabili delle nostre risposte emotive, è sempre più avallata che l’ipotesi che fare attività fisica possa indurre cambiamenti a livello dell’asse ipotalamico-ipofisario.

Le ragioni di tali cambiamenti vengono spiegati con il fatto che l’esposizione alla luce solare durante l’esercizio stesso, aumenta la produzione di melatonina e di testosterone, responsabili di un migliore tono d’umore.

In effetti, la ricetta da consigliare per sentirsi più attivi ed energici, è molto semplice ma non scontata se si pensa che la maggior parte di noi lavora, o trascorre la maggior parte della sua giornata, in contesti illuminati artificialmente con lampade in grado di emettere su fasce di frequenze elettromagnetiche ben lontane da quelle di un’illuminazione naturale, anche di una cupa giornata uggiosa.

Un tema più dibattuto e da risvolti ancora controversi e irrisolti, riguarda l’effetto dell’attività fisica sull’ansia. La letteratura suggerisce un effetto generale di riduzione dell’ansia in un arco di valori dal debole al moderato; tuttavia è stato anche osservato in ricerche recenti, che specifici trainings di allenamento contribuiscono a migliorare sia l’ansia di stato che di tratto in misura addirittura paragonabile alla psicoterapia.

D’altro canto, negli anni ’60, alcuni clinici erano invece riusciti a dimostrare che l’esercizio intenso può accrescere l’ansia. (Pitts e Mc Clure 1967)

È allora evidente che quando si indagano gli effetti terapeutici dell’attività fisica sull’ansia ci si imbatte in un fenomeno molto complesso, ma malgrado ciò si può comunque affermare che tre o quattro mesi di pratica siano in grado di migliorarla. In particolare appare necessario porre attenzione alla tipologia dello sport praticato, piuttosto che alla frequenza, in ragione del fatto che gli effetti sulla psiche non sembrano legati a cambiamenti nel fitness, ovvero al miglioramento dell’efficienza cardiorespiratoria prodotta dall’allenamento; ad esempio alcune ricerche hanno dimostrato che allenamenti intensi, sopratutto il sollevamento pesi, sembrano poco efficaci sull’ansia, mentre gli esercizi aerobici e ritmici (carichi leggeri, movimenti rapidi) sembrano utili già alla prima sessione.

Meno facile è dire se la riduzione dell’ansia dipenda maggiormente da meccanismi strettamente neurofisiologici o piuttosto di ordine psicologico. Di sicuro, in un disturbo in cui il contenuto e la ricorsività del pensiero hanno un ruolo importante, l’effetto distraente dell’attività praticata non è trascurabile come anche non lo sono gli effetti del miglioramento dell’autostima, della percezione del sé fisico, della padronanza di sé.

Inoltre, è stato osservato che gli atleti con allenamento di resistenza hanno una densità d’adrenorecettori sui linfociti più alta del normale, elemento di non poco conto se si pensa che patologie quali ansia e depressione inducono disregolazioni di alcuni sistemi neurali (noradrenergici e serotoninergici) ed una diminuzione proprio di tali recettori.

In soggetti normali, non affetti né da ansia o depressione, è stato verificata la relazione positiva tra attività fisica e benessere psicologico, anche quando la si pratica moderatamente. In queste persone l’effetto maggiore sull’emozioni e sull’umore è da ricondursi a fattori soprattutto psicosociali: la possibilità di far parte di un clima di gruppo accettante e non agonistico, l’attività focalizzata su obiettivi quali il miglioramento personale o la padronanza del compito piuttosto che sulla competizione, lo sport praticato in maniera godile, aerobica regolare e ad intensità moderata.

Questi ultimi aspetti appaiono ancora più importanti se letti alla luce di ricerche effettuate su atleti professionisti in cui è stato osservato che un eccesso di allenamento causa un netto peggioramento dell’umore.

Anche l’autostima ha una sua importanza non trascurabile; oltre ad essere un indicatore di salute mentale, è significativamente correlata anche con una migliore salute fisica. Questo è spiegabile con il fatto che le malattie croniche, inducendo depressione, abbassano l’autostima stessa. Pertanto il praticare sport e migliorare la salute, hanno effetti significativi anche sull’autostima.

L’esercizio è inoltre un mezzo per migliorare l’immagine di sé ed in generale il sé fisico, a tutte le età e senza differenze di genere. Basti pensare al fatto che proprio persone con più bassa autostima, come le persone obese, gli anziani ed i malati traggono maggiori effetti dall’attività fisica.

L’ “involucro”  conta

Circa i possibili meccanismi d’azione, è da ricordare che nella nostra cultura si accorda molto valore all ’attrazione fisica. Il dominio fisico è chiaramente incluso nel modello dell’autostima, e gli elementi del sé fisico agiscono da interfaccia col mondo sociale.

Secondo Fox, a più alti livelli di autostima corrispondono un miglior senso di autonomia e di controllo del corpo, un maggior senso d’appartenenza col gruppo ed un miglioramento della competenza fisica percepita, grazie al miglioramento della forza e della funzione cardiorespiratoria.

L’effetto dell’esercizio fisico sullo stress è forse l’argomento più complesso e meno approfondito. I meccanismi di abbassamento della reazione di stress per mezzo dell’esercizio sono complessi e non ancora del tutto chiariti.

Possiamo però affermare con sicurezza che l’allenamento cardiorespiratorio è associato con una leggera diminuzione della frequenza cardiaca a riposo e delle reazioni pressorie durante uno stress mentale attivo ma non passivo (Dishman). Il beneficio, allora, deriverebbe da un minor livello di partenza e non da una minore reazione allo stress.

Non sempre la medicina investigativa riesce a creare protocolli

Mancano o sono inattendibili gli studi relativi ad altre risposte ormonali come quella del cortisolo, per affermare che l’esercizio modifichi le altre risposte endocrine durante lo stress. Non possiamo allora stabilire gli effetti dell’allenamento durante la risposta allo stress, e neppure se migliori il recupero alla cessazione di esso. Tuttavia, gli adulti con stress moderato affermano che si sentono meglio, sia dopo una singola sessione di esercizio che dopo un periodo di pratica. In sintesi, gli studi non hanno dimostrato con certezza che tali risultati siano indipendenti dalle aspettative soggettive dei benefici. Comunque, è plausibile che una miglior efficienza generale dell’organismo migliori l’adattamento di quest’ultimo ai vari tipi di stressors.

Infine, la pratica dell’esercizio fisico ha effetti positivi sulla qualità del sonno e si rivela di grande utilità in casi di disturbi gravi, specie l’insonnia, in grado di inficiare pesantemente sul livello generale di qualità della vita e di aumentare il rischio di vari problemi di salute.

L’ Associazione Americana per i disturbi del Sonno consiglia l’attività fisica poiché in grado di creare un piccolo ritardo nell’inizio del sonno REM, un modesto incremento nelle onde lente e nella durata totale del sonno; in altre parole: un sonno più profondo e lungo, quindi più tonificante.I disturbi del sonno sono anche sintomi secondari delle già citate ansia e depressione. Quindi incidere su queste ultime attraverso lo sport o assicurandosi di esporsi alla luce solare può indirettamente incidere anche sul sonno stesso. Infine, durante l’esercizio, aumenta nei muscoli la concentrazione d’adenosina. Si ritiene che tale sostanza abbia un ruolo importante nella regolazione del sonno.

In conclusione, spero di essere riuscita ad evidenziare come lo sport possa davvero essere considerato un importante fattore autoprotettivo della salute fisica e psicologica, in grado di incidere in direzione positiva la qualità della vita e di aiutarci sia nella cura che nella prevenzione dell’insorgenza di psicopatologie. Mi sento dunque di consigliarlo a tutti, nei modi e con la frequenza più adatta ad ognuno di noi. E non mi resta altro che aggiungere: buon lavoro!

Orandum est ut sit mens sana in corpore sano
(La sola cosa auspicabile è che ci sia una mente sana in un corpo sano)
Giovenale “Satirae”, X, 356

 

Valentina Mastrodicasa

http://www.warmfit.com/it_IT/groups/psicologia-ita-official-group/forum/

 

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